20 luglio 1944. La congiura dei militari contro Hitler
Il fallito attentato a Donald Trump del 14 luglio fa parte di una serie di atti di violenza politica che non hanno nulla a che fare con episodi di legittima resistenza a un potere arbitrario come quello del 20 luglio 1944 contro Hitler, di cui merita di essere ricordato l’80° anniversario.
Quel tentativo di colpo di Stato, denominato in codice Operazione Valchiria, ebbe luogo all’interno del quartier generale del Führer, la “Tana del Lupo”, a Rastenburg, in Prussia orientale, ma fallì perché Hitler, lievemente ferito e dolorante, sopravvisse all’esplosione della bomba che doveva ucciderlo. L’esecutore materiale dell’attentato fu il colonnello Claus Schenk, conte von Stauffenberg, che venne arrestato e fucilato la notte stessa del 20 luglio, assieme ad altri ufficiali suoi complici, mentre la vendetta dei nazisti si abbatteva su quasi 6000 persone, sospettate di essere coinvolte nel putsch. Il fallimento fu dovuto non solo ad una serie di fortuite circostanze, che salvarono la vita ad Hitler, ma soprattutto all’incertezza dimostrata dai congiurati nel passare all’azione nelle ore frenetiche che seguirono il gesto di Stauffenberg.
Questa deficienza operativa, che costò la vita ai membri della resistenza anti-hitleriana, quasi tutti trucidati in maniera efferata, riflette l’eterogeneità della loro provenienza e dei loro programmi. Se agli oppositori di Hitler mancò una visione dottrinale coerente, non difettò però la coerenza di uno stile di vita. I congiurati del 20 luglio furono soprattutto militari, ma anche diplomatici, alti funzionari dello Stato, gentiluomini di campagna, accomunati da un sentimento dell’onore coltivato da famiglie abituate da secoli a servire in guerra e in pace il loro Paese. Uomini convinti, come affermava uno di essi, il generale Henning von Tresckow, «che il valore morale di un uomo si rivela nel momento in cui egli è pronto a sacrificare la vita per le sue convinzioni» (Questa fu la Prussia. Testimonianze sul prussianesimo, a cura di Hans Joachim Schoeps, tr. it., Volpe, Roma 1965, p. 253). I due uomini che, con Stauffenberg, costituirono il cuore della congiura, il conte Helmut James von Moltke e il conte Peter Yorck von Wartenburg, entrambi giustiziati per alto tradimento, discendevano rispettivamente dal grande feldmaresciallo prussiano e dal famoso generale che aveva combattuto contro Napoleone, e nello stile di vita prussiano trovarono le risorse morali per resistere al regime nazionalsocialista. Gli attentatori di Hitler furono, in questo senso, innanzitutto degli aristocratici, appartenenti ad un ceto che prima di essere nobiltà di sangue o proprietà di terra, è una disposizione d’animo che caratterizza gli uomini superiori.
Il prof. Plinio Corrêa de Oliveira ha ben mostrato come il significato ultimo dell’aristocrazia sia in uno spirito di servizio al bene comune che arriva fino all’olocausto della vita (Nobiltà ed élites tradizionali analoghe, tr. it. Marzorati, Milano 1993). Il supremo olocausto che i congiurati dovettero affrontare non fu però quello della vita, ma quel sentimento di obbedienza che costituiva il fulcro della loro educazione morale. Eppure il coraggio della disobbedienza agli ordini ingiusti, la Libertas oboedientiae, faceva parte della tradizione prussiana, che conosce altri esempi del genere nella sua storia. Una lapide sepolcrale, nella Marca di Brandeburgo, ricordando Johann Friedrich Adolf von der Marwitz, che rifiutò di eseguire l’ordine di Federico II di mettere a sacco il castello di Hubertusburg reca così scritto: «Vide i tempi eroici di Federico e combatté con lui tutte le guerre. Preferì cadere in disgrazia quando l’obbedienza non fu compatibile con l’onore» (Questa fu la Prussia, p. 130).
Non si può chiedere sacrificio maggiore della ribellione a chi è educato a obbedire e a servire. Amare la propria patria e desiderare la sua sconfitta in nome di questo amore costituisce un sacrificio estremo. La sorte dei congiurati del 20 luglio fu in questo senso amara. Essi non subirono solo processi illegali, seguiti da torture e barbariche sentenze di morte, ma l’incomprensione di molti connazionali e degli stessi nemici, malgrado la maggior parte di loro, si fossero coperti di valore e di ferite su tutti i fronti.
I protagonisti di quest’episodio di resistenza al nazismo rinunciarono deliberatamente alla fuga, per non mettere in pericolo le proprie famiglie, resistettero alle peggiori torture senza tradire i loro compagni, si difesero nei processi con nobile distacco, affrontarono a testa alta una morte ignobile, lasciando però un’alta testimonianza alla storia. Questi uomini non avevano studiato il Dottore Angelico, ma il loro senso del bene e del male, del giusto e dell’ingiusto, faceva loro comprendere la necessità di ribellarsi ad Hitler. Una delle condizioni che pone san Tommaso per ribellarsi a un ingiusto oppressore è quella di non provocare una situazione peggiore di quella che si vuole modificare. I cospiratori erano convinti che se l’attentato fosse riuscito, la Germania non sarebbe sprofondata nel caos, ma i militari avrebbero preso il potere, esautorando i dirigenti nazionalsocialisti e incorporando nell’esercito le Waffen SS. La fine della guerra sarebbe stata affrettata. Così non accadde, ma quello del 20 luglio resta un gesto che esprime la migliore anima del popolo tedesco.
Tra coloro che pagarono con la vita fu un gesuita, padre Alfed Delp, arrestato il 28 luglio e poi torturato dalla Gestapo. L’8 dicembre 1944, riuscì ad emettere in carcere i voti solenni, alla presenza di un confratello, e divenire così, per sempre, religioso della Compagnia di Gesù. Venne impiccato il 2 febbraio 1945, dopo un processo-farsa in cui gli fu chiesto di denunciare il suo superiore e di scegliere fra la vita ed il proprio Ordine religioso. Non è stato beatificato, ma il suo nome è iscritto nel martirologio della Compagnia di Gesù, accanto a tanti altri religiosi vittime del nazionalsocialismo e del comunismo.