Come si arrivò alla Seconda guerra mondiale
Nelle sue Memorie, Winston Churchill racconta: «Un giorno il presidente Roosevelt mi disse che stava chiedendo pubblicamente suggerimenti su come la guerra dovesse essere chiamata. Io dissi subito “la guerra non necessaria”. Non ci fu mai una guerra più facile da fermare che quella che aveva appena distrutto ciò che la guerra precedente aveva lasciato del mondo» (La Seconda guerra mondiale, Mondadori Milano 2024, p. 11).
In realtà di tutte le guerre si può dire che sono “non necessarie”, anche se una certa ineluttabilità ne accompagna sempre le origini. Calcoli sbagliati, mosse azzardate, passioni sregolate, sono spesso alle origini dei conflitti, provocati da un dinamismo storico che ne travolge i protagonisti. Gli uomini credono di essere gli artefici della storia, ma sono solo figuranti nelle mani della Divina Provvidenza che tutto permette per i suoi fini superiori.
Così accadde nel trentennio 1914-1945. Dopo la Prima disastrosa guerra mondiale, i vincitori imposero ai vinti una pace foriera di nuove sventure. Il Trattato di Versailles smembrò l’Austria-Ungheria, ma lasciò la Germania intatta, in modo che essa rimase un blocco omogeneo nel cuore dell’Europa. Lo storico francese Jacques Bainville osservò nel 1920: «L’opera di Bismarck e degli Hohenzollern era rispettata in ciò che aveva di essenziale. L’unità tedesca non era solo mantenuta, ma rinforzata» (Les conséquences politiques de la paix, Godefroy de Bouillon, Paris 1996 (1920), p. 31).
La Conferenza di Parigi consolidò la Germania “repubblicanizzata”, ma allo stesso tempo la umiliò, addossando interamente ad essa la colpa dell’“aggressione” dell’agosto 1914 e stabilendo condizioni di pace punitive. Il popolo tedesco, sdegnato, si rivolse al vecchio maresciallo Hindenburg e poi a un caporale austriaco che si presentava come il vendicatore della patria mortificata. Adolf Hitler, nel Mein Kampf,aveva riassunto il suo programma nella formula «la Germania diventerà una potenza mondiale o non esisterà affatto». Per divenire una potenza mondiale, la Germania doveva rompere l’accerchiamento del paese da parte dei suoi nemici e conquistare vasti territori a est, sottraendoli alle popolazioni slave.
Giunto attraverso regolari elezioni al potere, il 21 marzo 1933, presso la tomba di Federico il Grande a Potsdam, Hitler inaugurò il Terzo Reich nazionalsocialista. Il nuovo padrone della Germania contava di imporre alle potenze europee la ricostituzione dell’unità nazionale e l’affermazione della razza germanica in Europa e nel mondo. Per realizzare i suoi piani egli contava sull’acquiescenza dell’Occidente e sulla sua diabolica astuzia, prima ancora che su una forza militare ancora precaria. Gli Stati Uniti, da parte loro, avevano abbandonato la Società delle Nazioni per seguire, sia sotto i suoi successori repubblicani del presidente Wilson, che sotto il democratico Franklin D. Roosevelt, una politica estera di sostanziale isolazionismo. Churchill osserva: «E’ difficile stabilire un confronto tra la mancanza di discernimento del governo inglese e la debolezza del governo francese, i quali, nondimeno, rispecchiavano l’opinione dei loro parlamenti in quel disastroso periodo. E neppure gli Stati Uniti possono sfuggire alla censura della Storia (…). Essi si limitarono a guardare stupefatti i vasti mutamenti che avvenivano in Europa, immaginandosi di non doversene menomamente preoccupare» (op. cit., p. 57).
Dopo aver ristabilito, nel 1935, il servizio militare obbligatorio in Germania, in opposizione alle clausole di Versailles, Hitler decretò, il 7 marzo 1936, la rimilitarizzazione della zona renana, anch’essa proibita dal Trattato di Pace. Churchill osserva ancora: «Poiché si era permesso a Hitler di riarmare senza che gli Alleati o le Potenze loro associate interferissero in modo attivo nei suoi piani, una Seconda guerra mondiale doveva venire considerata assai probabile, per non dire certa. Più si protraeva una decisiva prova di forza, più diminuivano le nostre possibilità, in primo luogo di frenare Hitler senza lotte cruente, in secondo luogo di uscire vittoriosi dal terribile cimento» (p. 121).
L’anno cruciale della crisi europea fu il 1938. Dopo l’annessione dell’Austria, il 13 marzo, Hitler proclamò il diritto di autodecisione dei tedeschi incorporati nella Repubblica ceco-slovacca.
Il 29 e 30 settembre 1938 la conferenza di Monaco tra Hitler, Chamberlain, Daladier e Mussolini acconsentì alle richieste del Führer. Il premier inglese Chamberlain venne acclamato al suo ritorno a Londra come un salvatore della pace. La guerra in realtà non si allontanava, ma si avvicinava.
Hitler si convinse della sua superiorità politica e militare e alzò la posta, giocando d’azzardo. Il 15 marzo 1939 anche la Boemia e la Moravia venivano incorporate nel Reich e la Repubblica ceco-slovacca spariva dalla carta d’Europa. Il 22 marzo, la Repubblica lituana era costretta a restituire alla Germania il territorio di Memel, che aveva avuto col Trattato di Versailles. Il 28 aprile Hitler denunciava il patto decennale di non aggressione con la Polonia e chiedeva la restituzione di Danzica. Il 23 agosto la Germania nazista stipulava improvvisamente un patto di non aggressione con l’Unione Sovietica. Nel protocollo segreto aggiuntivo era prevista la spartizione della Polonia tra la Germania e la Russia, alla quale Hitler cedeva inoltre la Finlandia, l’Estonia, la Lettonia e la Polonia fino alla Vistola quali “sfere di interesse”.
La politica estera sovietica, come quella tedesca, aveva il suo cardine, nella sindrome dell’“accerchiamento.” Stalin era convinto che le potenze occidentali volessero creare un “cordone sanitario” attorno all’unico Stato socialista per isolarlo e poi sconfiggerlo militarmente. Egli considerava dunque la guerra come necessaria. Per il dittatore comunista, osserva lo storico tedesco Andrea Hillgruber, «decisive non erano le acquisizioni territoriali bensì la volontà di non impedire la guerra, ma anzi di provocarla indirettamente, facendo assumere a Hitler il ruolo di attore che la scatena» (La distruzione dell’Europa, tr. it. Il Mulino, Bologna 1991, pp. 269-270). Hitler, da parte sua, era persuaso che né la Francia né l’Inghilterra sarebbero scese in campo per difendere la Polonia. Ma la Gran Bretagna, dopo l’occupazione di Praga, aveva abbandonato la politica di appeasement e aveva concesso la sua garanzia alla Polonia nel caso di un attacco tedesco; uguale garanzia dettero la Francia e l’Inghilterra alla Romania e alla Grecia. Il passaggio delle due potenze occidentali da una politica remissiva a una politica intransigente fu, secondo sir Basil Liddell Hart, talmente brusco e improvviso da rendere inevitabile la guerra (Storia militare della Seconda guerra mondiale, tr. it.,Mondadori, Milano 1996, p. 8).
Hitler, convinto fino all’ultimo di riuscire a farsi beffe degli Alleati, il 28 agosto propose di negoziare le sue richieste. Era ormai troppo tardi. All’alba del 1° settembre 1939 l’esercito tedesco invase la Polonia, ma il 3 settembre la Gran Bretagna e la Francia dichiararono guerra alla Germania. Esse avevano l’obiettivo di preservare l’indipendenza della Polonia ma, come osserva ancora Liddell Hart, dopo sei anni di guerra furono costrette ad accettare tacitamente la dominazione russa di quella nazione, contravvenendo a tutte le promesse fatte ai polacchi che avevano combattuto al loro fianco.
La Russia, svolse un ruolo decisivo nello scoppio della Seconda guerra mondiale, come già era avvenuto nella Prima. Forse lo Zar Nicola II non si rese conto che la Russia, decretando per prima la mobilitazione generale, il 30 luglio 1914, avviava di fatto la guerra europea; ma Stalin, firmando il patto di non aggressione con Hitler il 23 agosto 1939, era certamente consapevole di rendere inevitabile il conflitto, sollevando Hitler dal timore di una guerra su due fronti.
Oggi la situazione internazionale, dopo l’invasione russa dell’Ucraina, è satura, più di allora, di arroganza e di malizia, di viltà e di cecità politica. La storia non si ripete mai esattamente, ma è sempre maestra e guida degli eventi e ancora una volta si possono ripetere le parole «ducunt fata volentem, nolentem trahunt»: quando il mondo volta le spalle a Dio, si trova sottomesso alla legge inesorabile di un destino che non padroneggia.