La nomina del nuovo prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede
La nomina di mons. Víctor Manuel Fernández, arcivescovo di La Plata, alla testa della congregazione per la Dottrina della Fede è uno degli atti più inquietanti del pontificato di papa Francesco, non solo per la scelta del discutibile personaggio, ma anche per la inusuale lettera che ha accompagnato la sua nomina. A mons. Fernández, noto per le sue posizioni spesso divergenti dal Magistero della Chiesa, soprattutto in campo morale, Francesco ha infatti scritto il 1° luglio 2023: «Il Dicastero che lei presiederà in altri tempi è arrivato a usare metodi immorali. Erano tempi in cui, anziché promuovere la conoscenza teologica, si perseguivano possibili errori dottrinali. Quello che mi aspetto da lei è certamente qualcosa di molto diverso».
A quali tempi il Papa si riferisce e quali sono i metodi immorali usati dalla congregazione che, da quando ha assunto l’attuale denominazione, nel 1965, è stata guidata, tra gli altri, dal cardinale Josef Ratzinger (1981-2005) e dal cardinale Gerhard Ludwig Müller (2012-2017)? Papa Francesco raccomanda al nuovo prefetto di evitare di “perseguire” gli errori dottrinali. La Chiesa, afferma infatti citando la Evangeli Gaudium, «ha bisogno di crescere nell’interpretazione della parola rivelata e nella comprensione della verità, senza che questo implichi l’imposizione di un unico modo di esprimerla. Perché le diverse linee di pensiero filosofico, teologico e pastorale, se si lasciano armonizzare dallo Spirito nel rispetto e nell’amore, possono anche far crescere la Chiesa».
Sembra di capire che la Chiesa deve tollerare al suo interno, in maniera dialettica, diverse opinioni teologiche, purché non siano troppo «rigide», ovvero troppo coerenti con l’ortodossia, e non ci si accontenti «di una teologia da tavolino», di «una logica fredda e dura che cerca di dominare tutto». Le verità di fede cattolica non devono essere presentate in maniera assertiva, universale e rigorosamente conforme al Magistero precedente. Nessun documento anteriore al pontificato di Francesco, nemmeno del Concilio Vaticano II, è citato nelle undici note che corredano lo sconcertante documento.
E’ più che logico che un atto di questo genere provochi sgomento e che sollevi domande e perplessità. Il Papa è il Vicario di Cristo, ma prima del Papa c’è la Chiesa, e ogni cattolico, come membro del Corpo Mistico, ha il diritto di discordare dalle parole o dagli atti, perfino di un Papa, che apparissero contrari alla fede ricevuta con il battesimo. Un Pastore che cessa di confermare nella fede il gregge a lui affidato non appare degno della suprema missione affidata da Cristo al suo Vicario. Papa “indegno”, secondo un eminente teologo quale fu mons. Brunero Gherardini (1925-2017), è il Papa che esercita in modo arbitrario il suo primato, sovrapponendosi a Cristo e tradendo la sua missione (Contemplando la Chiesa. Considerazioni teologiche sul mistero della Chiesa, nn. 1-3 (2007), p. 183). Un Papa indegno non cessa, però, di essere Papa. La tentazione in cui purtroppo alcuni oggi cadono è quella di rifiutare papa Francesco come Vicario di Cristo, senza che vi sia stata alcuna sentenza della Chiesa che lo abbia decretato. E oggi il rifiuto della legittimità di Francesco proviene non solo da chi lo definisce apertamente “usurpatore” e “antipapa”, ma anche da parte di chi, in maniera più ambigua, parla di lui con disprezzo, chiamandolo semplicemente “Bergoglio” e invitando i sacerdoti a non menzionare il suo nome all’inizio del canone della Messa (una cum). Il mistero della Chiesa, santa nella sua dottrina e nella sua divina costituzione, ma peccatrice nella sua umanità, va affrontato con la riflessione e l’equilibrio, con la carità e con la preghiera.
Per chi voglia approfondire questi gravi problemi, talvolta trattati con incompetenza e superficialità, raccomando due libri recentemente usciti: Super hanc petram. Il Papa e la Chiesa in un’ora drammatica della storia di padre Serafino Lanzetta (Edizioni Fiducia, Roma 2022) e Non era più lui. Una risposta al Codice Ratzinger sulla rinuncia di Benedetto XVI di Federico Michielan e Francesco Patruno (Fede e Cultura, Verona 2023, con una prefazione di mons. Nicola Bux).
Non c’è dubbio, spiega padre Lanzetta, che, con il pontificato di Francesco, c’è stato un offuscamento fondamentale della persona del Papa e del mistero-Chiesa, con un tentativo di revisione generale del magistero precedente e della dottrina di fede e di morale in punti nevralgici. Tuttavia, «quando un Papa rinunciasse ad esercitare il suo munus proprio di confermare i fratelli nella fede e addirittura insegnasse dottrine ambigue al limite dell’eresia, non significa immediatamente che quel Papa non sia un vero Papa. Bisognerebbe piuttosto chiedersi come sia possibile che venga meno la fede di un Papa. Questi, seppur elevato al più alto grado di dignità nella Chiesa, con una grazia proporzionata al suo stato, rimane pur sempre quel Simone, che fa fatica a diventare Pietro e che si lascia abbagliare dalle varie sirene, dallo spirito del tempo, che di volta in volta propongono una via più facile, una via che non è quella della Croce» (p. 43). Anche se il Papa divenisse strumento di confusione dottrinale, la legittima critica che dovrebbe essergli rivolta non dovrebbe consistere nel mettere in discussione il suo munus – a meno che non ci siano prove evidenti a tutti che lo attestino – «ma solo verificare alla luce della dottrina costante della Chiesa se tale munus sia esercitato o meno, se il ruolo petrino sia adempiuto o no, se la fede e la morale insegnate dal Papa siano la fede e la morale della Chiesa» (p. 45).
Se il discorso di padre Lanzetta si svolge sul piano rigorosamente teologico, i giuristi Federico Michielan e Francesco Patruno, lo affrontano sul piano del diritto canonico. C’è chi sostiene che papa Francesco non sarebbe Papa perché Benedetto XVI non avrebbe mai rinunciato al pontificato. Il dott. Michielan esamina accuratamente tutte le contraddizioni, soprattutto di natura teologica, che si rilevano nell’abdicazione di Benedetto XVI, quasi che egli avesse voluto rinunciare a “fare il Papa”, senza rinunciare a “essere Papa”. Queste contraddizioni, espresse nell’abito bianco che Benedetto ha continuato ad indossare, nel nome che ha mantenuto e soprattutto nel titolo inedito di “Papa emerito”, non infirmano la validità della rinuncia di Benedetto. La confusione tuttavia esiste e sarà necessario che un futuro Papa la dissipi con chiarezza.
Nella seconda parte del libro Michielan intervista l’avvocato Francesco Patruno, che sgombra subito il terreno dal cospirazionismo fanta-teologico oggi così diffuso. «E’ più che normale – afferma il canonista – che gli storici e i canonisti si interroghino in un dibattito scientifico sulla legittimità di un Papa o sulla validità della sua rinuncia. Quel che danneggia la serietà della ricerca storico-giuridica è proprio la letteratura di stampo cospirazionista» (pp. 147-148).
Uno dei cavalli di battaglia di queste tesi cospirazioniste è l’affermazione della “sede impedita”, secondo cui Benedetto XVI sarebbe stato indotto a compiere la sua “rinuncia” perché impedito a governare. Patruno dimostra come questa tesi è insostenibile. Benedetto XVI può essere stato “ostacolato” dai suoi nemici in alcuni atti; ma l’essere ostacolati non vuol dire impediti e non pregiudica la validità di un’elezione. L’idea poi che Benedetto XVI abbia deliberatamente concepito una rinuncia invalida per tendere una trappola al cardinale Bergoglio lo renderebbe gravemente colpevole di fronte a Dio, perché significherebbe sostituire la furbizia machiavellica alla fiducia nell’azione dello Spirito Santo e della Divina Provvidenza. I sostenitori di questa tesi non si rendono conto di rendere Benedetto XVI altrettanto “diabolico” del rivale a cui lo si contrappone.
Anche la tesi secondo cui le pressioni della cosiddetta “mafia di San Gallo” avrebbero invalidato il conclave del 2013 è priva di fondamento giuridico. Tutti i conclavi del secolo ventesimo hanno visto l’esistenza di gruppi contrapposti, a cominciare da quello che elesse san Pio X, in seguito al veto austriaco espresso contro il cardinale Rampolla. La stessa elezione di Benedetto XVI nel 2005 fu probabilmente dovuta a un compromesso tra due schieramenti che si opponevano in conclave, il “Gruppo di San Gallo” del cardinale Martini e il “Partito del Sale della Terra” del cardinale Ratzinger. Secondo una verosimile ricostruzione di Patruno, il compromesso tra i due gruppi prevedeva l’elezione del cardinal Bergoglio dopo quella del cardinal Ratzinger, come difatti avvenne. L’esistenza di tali accordi, laddove fossero provati, non invaliderebbe comunque l’elezione del 2013 e tantomeno quella del 2005.
Per quanto riguarda la Messa una cum Bergoglio, l’avvocato Patruno spiega bene il passo di san Tommaso, spesso citato a sproposito, secondo cui pecca chiunque ascolta la Messa o riceve i Sacramenti da ministri eretici, scismatici o scomunicati (Summa Theologiae, III, q. 82, a. 9). Il passo si riferisce a eretici, scismatici e scomunicati che siano privati dell’esercizio dei loro poteri da una sentenza della Chiesa. Sino a quando questa pronuncia definitiva non c’è stata, si potrà andare a Messa e ricevere i sacramenti da preti soggettivamente ritenuti eretici, etc. La communicatio in sacris con gli eretici è illecita quando una sentenza della Chiesa li abbia dichiarati tali, ma fino a quel momento è lecito ricevere da costoro la comunione e ascoltarne la Messa.
Papa Francesco, afferma giudiziosamente l’avvocato Patruno, può essere un personaggio dibattuto ma «finché non ci sia la sententia ecclesiae, nessuno – laico o semplice sacerdote – potrebbe sostituirsi alla Chiesa docente» (p. 213). Al più l’opinione che si può avere su Francesco potrà valere come parere di un dottore privato. Nessun uomo però, al di fuori del Papa, è per sua natura infallibile: solo il Papa lo è, a determinate condizioni, quando esercita il suo mandato. D’altra parte non ci può essere Chiesa senza Papa e se oggi il Papa non è Francesco, chi lo è o lo sarà? Sono domande ineludibili a cui non può essere data una risposta “carismatica”, al di fuori delle più elementari nozioni di teologia e di diritto canonico.
La strada più ragionevole da seguire in questa dolorosa situazione sembra essere quella tracciata dalla Correctio filialis del 16 luglio 2017 (http://www.correctiofilialis.org/it/), un documento fermo e rispettoso presentato da 40 studiosi, divenuti poi oltre 200, per invitare il Santo Padre a rigettare le eresie e gli errori da lui promossi. Questa iniziativa meriterebbe di essere ripresa, ma soprattutto fatta propria da un congruo numero di cardinali e di vescovi, non al fine di “deporre” il Papa, ma per ammonirlo filialmente, seguendo l’esempio di san Paolo nei confronti di san Pietro (Ad Gal. 2, 14). Nei momenti di grave crisi c’è l’obbligo di denunciare gli errori, anche provenienti dalla suprema autorità ecclesiastica, con tutto il rispetto per il Vicario di Cristo e senza scandalo per le anime, ci ricorda un teologo romano, il padre passionista Enrico Zoffoli (1915-1996), citando le parole di santa Caterina da Siena: «Santità, fate che io non debba lamentarmi di Voi con Gesù Crocifisso. Con nessun altro infatti potrei lamentarmi, perché Voi non avete superiore sulla terra! » (La vera Chiesa di Cristo, Pro Manuscripto, Roma 1990, p. 287).