Papa Francesco invita l’Ucraina alla resa?
In un’intervista alla Radiotelevisione svizzera, anticipata dalle agenzie il 9 marzo, Papa Francesco ha chiesto all’Ucraina di avere il coraggio di alzare bandiera bianca e negoziare. «Credo – ha affermato – che è più forte chi vede la situazione, chi pensa al popolo, chi ha il coraggio della bandiera bianca, di negoziare. E oggi si può negoziare con l’aiuto delle potenze internazionali. La parola negoziare è una parola coraggiosa. Quando vedi che sei sconfitto, che le cose non vanno, occorre avere il coraggio di negoziare. Hai vergogna, ma con quante morti finirà? Negoziare in tempo, cercare qualche paese che faccia da mediatore. Oggi, per esempio nella guerra in Ucraina, ci sono tanti che vogliono fare da mediatore. La Turchia, si è offerta per questo. E altri. Non abbiate vergogna di negoziare prima che la cosa sia peggiore».
La dichiarazione del Papa ha provocato immediate reazioni critiche, al punto che il giorno stesso il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Matteo Bruni, è intervenuto per spiegare che il Pontefice ha usato il termine “bandiera bianca” solo perché l’aveva suggerita l’intervistatore e che in realtà Francesco, con quest’immagine, voleva solo dire “negoziato”. Ma negoziare su quali basi? Se le parole hanno un senso, l’espressione “bandiera bianca” è inequivocabile: evoca la resa incondizionata, un negoziato, se tale lo si vuole definire, alle condizioni dell’avversario.
Al di là della metafora della bandiera bianca, appare evidente che per Francesco l’Ucraina ha ormai perso la guerra ed è inutile che continui a combattere, se non vuole auto-distruggersi. In questo senso, ha affermato il Papa in un altro punto dell’intervista, «il negoziato non è mai una resa. È il coraggio di non portare il Paese al suicidio». Per evitare il suicidio dell’Ucraina, Francesco le chiede di fare la pace con Putin. Ma quale pace aspettarsi da un aggressore al quale si possono applicare le parole che Ernst Jünger, riservava ad Hitler, quando, durante la guerra, pretendeva di negoziare con l’Inghilterra: «La pace non poteva venire a lui perché non era in lui, non trovava dimora in lui» (Il nodo di Gordio, tr. it.,Adelphi, Milano 2023, p. 92).
Il partito della resa altrui ritiene che la guerra in corso sia una “guerra per procura” condotta dagli Stati Uniti contro la Russia sulla pelle degli ucraini; ma la tesi si può capovolgere, perché gli ucraini preferiscono la guerra a oltranza alla “pace per procura” decisa da altri. Vogliono la pace, ma una pace giusta, come giusta è la loro guerra e nessuno meglio di chi vive in Ucraina, ne conosce le condizioni accettabili.
Il 10 marzo, il Sinodo Permanente della Chiesa greco-cattolica ucraina, riunito nella chiesa di San Giorgio a New York. ha commentato le espressioni di Papa Francesco con un comunicato in cui si legge: «Gli ucraini non possono smettere di difendersi perché la capitolazione significherebbe la loro morte. Le intenzioni di Putin e della Russia sono chiare ed evidenti. Non solo lui, bensì il 70% della popolazione russa sostiene la guerra genocida, compresi il patriarca Kirill e la leadership della Chiesa ortodossa russa. Gli obiettivi dichiarati si traducono in azioni concrete. Nella mente di Putin non esistono né l’Ucraina, né la storia ucraina, né la lingua, né la sua vita religiosa indipendente. Tutto ciò che è ucraino, a suo avviso, è una costruzione ideologica che deve essere distrutta». L’obiettivo di questa guerra, continua il Sinodo ucraino, «è annientare l’Ucraina e gli ucraini. Va anche aggiunto che qualsiasi occupazione russa del territorio ucraino porta alla distruzione della Chiesa greco-cattolica ucraina, di qualsiasi Chiesa ortodossa ucraina indipendente, nonché alla soppressione di altre religioni e di tutte le istituzioni e le manifestazioni culturali che non appoggiano la dominazione russa (…). Gli ucraini si difenderanno. Sanno di non avere altra scelta. La storia recente ha dimostrato che non possono esserci veri negoziati con Putin (…). Indipendentemente dalle proposte sul bisogno dei negoziati, avanzate da parte dei rappresentanti di vari Stati compreso il Santo Padre, gli ucraini continueranno a difendere la libertà e la dignità nella lotta per una pace stabile e giusta per il loro Paese e per il mondo. Gli ucraini credono nella libertà e nella dignità umana donata da Dio. Loro credono nella verità, la verità di Dio, e sono convinti che la verità di Dio vincerà».
Il comunicato è firmato dai vescovi: Sviatoslav Shevchuk, Capo e Padre della Chiesa greco-cattolica ucraina; Borys Gudziak, Arcivescovo e metropolita di Filadelfia; Volodymyr Yushchak, Eparca di Wroclaw-Koshalin; Bohdan Dzyurakh, Esarca Apostolico in Germania e Scandinavia; Josaphat Moshchych, Vescovo di Černivtsi.
Su questo importante problema di ordine politico e pastorale i vescovi ucraini hanno ragione. Nessuno conosce meglio di loro la terra di Ucraina e le sofferenze delle anime che in essa vivono e muoiono. Essi conoscono soprattutto le ragioni per cui il popolo ucraino soffre e combatte: la strenua volontà di difendere la propria identità religiosa e statuale e la propria libertà. La loro è una guerra legittima contro un ingiusto aggressore.
Il 12 marzo in un’intervista a “Il Corriere della Sera”, il cardinale Pietro Parolin che come segretario di Stato guida la diplomazia vaticana, ha precisato che la Santa Sede chiede il «cessate il fuoco», ma «a cessare il fuoco dovrebbero essere innanzitutto gli aggressori», e solo su questa base possono essere aperte trattative: «La guerra scatenata contro l’Ucraina non è l’effetto di una calamità naturale incontrollata ma della sola libertà umana e la stessa volontà umana che ha causato questa tragedia ha anche la possibilità e la responsabilità di intraprendere passi per mettervi fine e aprire la strada a una soluzione diplomatica».
Conciliare le parole del Papa con quelle del cardinal Parolin appare impervio. Sono queste continue contraddizioni del pontificato che generano confusione tra i fedeli che hanno bisogno innanzitutto di chiarezza e di coerenza.
La Russia, infine, ha davvero vinto la guerra? Putin era convinto di conquistare l’Ucraina in pochi giorni e dopo due anni ha dovuto pagare un prezzo altissimo di vite umane per controllare una parte limitata di territorio ucraino (https://storymaps.arcgis.com/stories/36a7f6a6f5a9448496de641cf64bd375).
L’Ucraina non è piegata e le truppe russe sono stremate da mesi di combattimenti. Inoltre la guerra di Putin per allontanare la Nato dalla frontiera russa ha avuto come conseguenza l’allargamento della presenza della coalizione occidentale sui confini russi, con la Finlandia e la Svezia che hanno abbandonato la loro storica neutralità, mentre la Germania si riarma e un esercito europeo potrebbe divenire la prima realizzazione politica di un’Unione Europea altrimenti fallimentare. Cedere in questo momento significherebbe incoraggiare Putin a proseguire il suo progetto imperiale, trascinando inevitabilmente il mondo in guerra. La Russia non sta vincendo sul piano militare, ma su quello della guerra ibrida, per l’allarmante cedimento psicologico e morale dei suoi avversari, che di fronte agli uccelli rapaci che li attaccano indossano i panni delle colombe.
Dieci anni fa, in occasione dell’Angelus del 26 gennaio 2014, Papa Francesco, dopo avere invitato a pregare per la pace in Ucraina, liberò due colombe in piazza San Pietro. Subito i volatili furono attaccati da un gabbiano e da un corvo. Le due colombe, simbolo di pace, furono dilaniate. Il Pontefice ne fu colpito e lo ha ricordato nella sua intervista: «C’è un’immagine che a me viene sempre. In occasione di una commemorazione dovevo parlare della pace e liberare due colombe. La prima volta che l’ho fatto, subito un corvo presente in piazza San Pietro si è alzato, ha preso la colomba e l’ha portata via. È duro. E questo è un po’ quello che succede con la guerra». E’ vero, bisogna evitare la guerra a tutti i costi, ma quando scoppia è l’ora dei falchi, non delle colombe.