Roberto de Mattei
Podcast di Roberto de Mattei
1945: Primavera di sangue a Trieste
0:00
-8:23

1945: Primavera di sangue a Trieste

Testo dell'audioDownload audioLascia un commento

Condividi

Testo dell'audio

Il 25 aprile di quest’anno sono trascorsi ottant’anni da quel 25 aprile 1945 che vide la Liberazione dell’Italia, dall’occupazione nazionalsocialista e dalla dittatura fascista.

Non fu però liberazione per tutti. Non lo fu certamente per la città di Trieste che, negli ultimi giorni di aprile del 1945, vide quella che è stata definita una “corsa, per occuparla, tra l’esercito comunista del generale Tito e le truppe anglo-americane che risalivano verso il nord. Arrivarono prima, il 1° maggio, i partigiani di Tito e per Trieste si aprì un incubo durato quaranta giorni, fino al 12 giugno 1945.

L ‘obiettivo di Tito era occupare la Venezia Giulia prima degli Alleati, creando un “fatto compiuto”, che permettesse l’annessione di questi territori alla futura Repubblica socialista di Jugoslavia. L’”operazione Trieste” di Tito prevedeva l’uccisione, gli arresti e la deportazione di tutti coloro che si opponevano all’egemonia comunista.

Da parte loro gli Alleati, sebbene inizialmente meno interessati alla regione, erano però consapevoli dell’importanza strategica del porto di Trieste e volevano evitare che la Jugoslavia consolidasse il proprio controllo sulla città.

Il 30 aprile 1945, mentre i tedeschi si ritiravano dalla città, avvenne a Trieste una doppia insurrezione, a opera del CLN, il Comitato di Liberazione Nazionale cittadino e dei partigiani comunisti, italiani e sloveni, sottoposti alle truppe di Tito. Dopo gli ultimi scontri con la Wehrmacht, la mattina del 1 maggio le prime unità della IV Armata jugoslava, entrarono in Trieste. Appena giunte le forze armate di Tito imposero il disarmo alle formazioni del Corpo Volontari della Libertà (CVL), che erano l’espressione armata del CLN. Il colonnello Antonio Fonda Savio comandante del CVL, per evitare un bagno di sangue, consegnò la città all’esercito jugoslavo, dando ordine ai suoi uomini di deporre le armi.

Il giorno successivo, 2 maggio, arrivarono a Trieste i soldati neozelandesi del generale Bernard Freyberg salutati entusiasticamente dalla popolazione italiana, che sperava che gli inglesi e gli americani avrebbero costretto gli jugoslavi a ritirarsi da tutta la Venezia Giulia. Ma il generale Freyberg aspettava ordini dal suo superiore, il maresciallo Alexander, comandante supremo del Mediterraneo, il quale, a sua volta, attendeva da settimane, ordini che non arrivavano, da parte dei capi Alleati. Di fatto, dal 1° maggio al 12 giugno 1945, le truppe alleate svolsero un ruolo puramente passivo, mentre le forze jugoslave esercitarono un potere assoluto su Trieste.

La mattina del 3 maggio il comando jugoslavo fece affiggere i primi decreti con cui si informava la popolazione che l’esercito di Tito aveva assunto l’amministrazione della città. Tutti gli edifici pubblici, il municipio, la radio, le banche furono occupati. Le autorità militari slavo-comuniste, con una serie di ordinanze, imposero la legge marziale e proibirono ogni manifestazione di dissenso. Aboliti i codici civile e penale italiani, furono istituiti dei Tribunali popolari e l’OZNA, la polizia politica jugoslava, diede inizio all’arresto di persone considerate sospette, sulla base di liste di proscrizione compilate nei mesi precedenti. I “nemici del popolo” non erano solo gli esponenti del fascismo e del collaborazionismo con i tedeschi, ma tutti gli oppositori potenziali all’annessione della Venezia Giulia alla Jugoslavia. Non fu solo vendetta politica e pulizia etnica nei confronti degli italiani, ma anche epurazione preventiva, finalizzata alla conquista del potere rivoluzionario. Alla base della violenza pianificata vi era un criterio politico, che, sotto la categoria di “fascismo”, raccoglieva tutti gli oppositori alla Rivoluzione comunista. Il termine “fascismo” diveniva il simbolo della società conservatrice e repressiva, alla quale doveva opporsi la Rivoluzione, che avrebbe dovuto assicurare la transizione al comunismo nella Venezia Giulia annessa alla Jugoslavia.

Questo regime di occupazione politica e militare fu uno dei periodi più tragici della città di Trieste, con confische, arresti indiscriminati, deportazioni, uccisioni di massa. Furono arrestati e spesso giustiziati membri delle forze armate, agenti di pubblica sicurezza, carabinieri, guardie di finanza, possidenti terrieri, professori, esponenti del ceto medio, dirigenti e iscritti al PNF, ma anche partigiani cattolici e liberali, contrari all’egemonia comunista.

Gli eccidi delle foibe, già anticipati in Istria nel settembre 1943, conobbero in queste settimane una seconda ondata: migliaia di persone arrestate e gettate, spesso ancora vive, nelle foibe, gli spaventosi crepacci che si aprono nelle terre giuliane.

Non è facile quantificare il numero delle vittime della repressione jugoslava nella primavera del 1945, ma considerando l’intera Venezia Giulia (inclusi Gorizia, Pola, Fiume e Lubiana), furono certamente molte migliaia, finite nelle foibe o deportate nei campi di prigionia jugoslavi, da cui molti non fecero mai ritorno.

La voce del vescovo di Trieste Antonio Santin fu l’unica che si levò di fronte alle truppe di Tito che spadroneggiavano.

Il 20 maggio il presidente americano Truman chiese esplicitamente a Stalin di intervenire sul governo di Belgrado per convincerlo a lasciare Trieste. Per il dittatore sovietico Trieste non era una priorità e Stalin impartì all’ambasciatore jugoslavo a Mosca l’ordine di aprire delle trattative, che portarono, il 9 giugno, all’accordo di Belgrado, in base al quale la Venezia Giulia sarebbe stata divisa in due zone di occupazione temporanea, la Zona A e la Zona B. Il 12 giugno 1945, le truppe di Tito si ritirarono da Trieste, nella zona A fu insediato il Governo militare alleato, che incominciò ad amministrare la parte occidentale della Venezia Giulia, mentre la zona B, quella orientale, con Fiume e l’Istria, fu lasciata all’amministrazione jugoslava. L’incubo era finito, ma la tragedia di Trieste doveva prolungarsi fino al 1954, quando finalmente la città giuliana tornò all’Italia.

Discussion about this episode

User's avatar