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“Beati i pacifici perché saranno chiamati figli di Dio”: Gianfranco Chiti
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“Beati i pacifici perché saranno chiamati figli di Dio”: Gianfranco Chiti

La pace è un grande bene per l’umanità. Il Vangelo dice “Beati i pacifici perché saranno chiamati figli di Dio” (Mt, 5, 9). Ma i pacifici sono coloro che operano per ordinare tutte le cose secondo la legge naturale e quella divina, ossia secondo giustizia. E operare secondo giustizia talvolta significa essere obbligati alla guerra per instaurare la pace. La pace infatti deve essere giusta, altrimenti non è vera pace. Il motto episcopale di Pio XII era “Opus iustitae pax”: la pace è frutto di giustizia. La guerra è un male, ma può essere necessaria per stabilire una giusta pace ed evitare mali più gravi.  

Alcuni credono di trovare la salvezza nella formula “Pace a tutti i costi!” diceva Pio XII nel Radiomessaggio al mondo del 24 dicembre 1948, ma è un inganno, perché incoraggia la sicurezza di chi prepara l’aggressione. Invocare la pace non basta infatti ad allontanare la guerra.  Per questo la Chiesa non insegna il pacifismo, ma la disposizione d’animo a sacrificare i beni terreni, di fronte a beni più alti, quali la giustizia e la verità. Questa disposizione d’animo che è ricerca di giustizia e di vera pace impone talvolta di prendere le armi. Chi professa il pacifismo ad oltranza dimentica che esistono mali più profondi di quelli fisici e materiali, e confonde le conseguenze rovinose della guerra sul piano fisico, con le sue cause, che sono morali e risalgono alla violazione dell’ordine, in una parola a quel peccato che solo può essere sconfitto dalla Croce. E’ questa la visione del mondo dei soldati cristiani, di coloro che nel corso dei secoli, si sono santificati servendo in armi il loro paese. E oggi mi piace ricordarlo attraverso il nobile esempio di un grande militare e uomo di Dio, Gianfranco Chiti, granatiere di Sardegna nell’esercito italiano e frate cappuccino nell’esercito di Dio.  

Nato il 6 maggio 1921 a Gignese (Piemonte), Gianfranco Chiti nel 1936 iniziò la scuola militare, prima a Milano e poi a Roma. Entrò nell’Accademia militare di Modena nel 1939, ma poco più di un anno dopo, nel giugno 1940 scoppiò la Seconda guerra mondiale. Gianfranco Chiti, appena divenuto sottotenente, a vent’anni fu inviato sul fronte jugoslavo dove combatté con valore. Nonostante rimanesse ferito agli occhi da una granata, l’anno successivo si offrì volontario per la campagna di Russia partecipandovi col grado di tenente col 32° battaglione controcarro Granatieri di Sardegna. Prese parte alla battaglia di Karkov, per la conquista del bacino industriale del Donec in Ucraina, proprio la zona dove oggi ancora si combatte furiosamente. Distintosi per il suo valore, fu decorato con la medaglia di bronzo al valor militare.  Nella tragica ritirata salvò dalla morte diversi soldati che, senza forze, volevano fermarsi sulla strada e attendere la fine. “Quando vedevo i corpi dei miei giovani compagni riversi senza vita – scrisse Chiti in una memoria – mi veniva l’istinto di inginocchiarmi e baciarli, perché morivano per colpe di altri, perché erano stati strappati alle loro famiglie, portati in territorio lontano a morire. Vedevo in loro l’immagine del Redentore, perché anche la guerra è effetto dei peccati nel mondo”.

Dopo l’8 settembre del ‘43, decise di arruolarsi nella Repubblica sociale italiana), fondata da Mussolini a Salò. Nel maggio 1945 fu arrestato e tradotto nel campo di internamento di Coltano presso Pisa. Processato, fu assolto da ogni accusa e reintegrato nell’esercito. Dal 1949 al 1954 fu assegnato al Comando Forze Armate della Somalia. Rientrato in Italia salì, anno dopo anno, tutti i gradi della gerarchia militare presso i Granatieri di Sardegna, divenendo aiutante maggiore (1961), vice comandante del I reggimento (1968), capo della segreteria dello Stato Maggiore (1970), comandante della scuola sottufficiali dell’esercito di Viterbo (1973), fino ad essere congedato nel 1978 con il grado di Generale di Brigata 

Pochi giorni dopo il congedo, a 58 anni, realizzò una sua antica aspirazione: il 30 maggio 1978 entrò nel convento dei Cappuccini di Rieti e nell’ ottobre dello stesso anno, indossò come novizio l’abito religioso dei Frati Minori Cappuccini. Il 12  settembre 1982  fu ordinato sacerdote con il nome di padre Gianfranco Maria da Gignese. 

In una lettera del 20 aprile 1980, inviata al Serra Club di Viterbo, padre Chiti così riassumeva il percorso della sua vita: “Sia concesso proprio a me, arrivato finalmente alla casa del Signore, al porto desiderato, di sottolineare la bellezza di una vita interiormente consacrata a DIO nell’incomparabile felicità dell’offerta totale di sé a LUI. Proprio a me, che a 58 anni di età, divenuto seguace di San Francesco di Assisi nell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini, ho potuto realizzare un’aspirazione della mia giovinezza, maturatasi nel corso della vita e custodita gelosamente nel cuore sempre e dovunque. (…). Avevo sentito una voce nel cuore sin da ragazzo: le ho ubbidito da vecchio, ecco è tutto qui. Tranquillo e fermamente deciso ho così intrapreso la nuova strada per percorrerla fino all’ultimo come bravo e buon soldato sicuro della sua decisione. E oggi, pur conscio della mia umana debolezza, sono felice di offrire al Signore il restante tempo concessomi, di spenderlo nel suo Nome ed in sua testimonianza. Non potevo meglio concludere la mia esistenza, ora che cercherò di farne un uso buono e generoso. Lasciato così, dopo 43 anni, il servizio attivo nell’amato Esercito Italiano, sono passato al servizio del più grande dei Re, senza incertezze, anche perché è il Signore stesso l’unico artefice di quanto avvenuto: “Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò, e gli disse vieni e seguimi

Dal 1982 alla morte Chiti visse con dedizione generosa la sua vocazione religiosa, girando l’Italia come predicatore e direttore spirituale Per ordine dei superiori, restaurò l’antico convento di San Crispino da Viterbo a Orvieto, semi-abbandonato, trasformandolo in un luogo di preghiera e di accoglienza. Nel 1990 l’Ordinario Militare mons. Giovanni Marra lo nominò “Padre spirituale dell’Associazione nazionale Granatieri di Sardegna”.

Nel luglio del 2004, padre Chiti ebbe un incidente stradale e fu ricoverato presso l’Ospedale militare romano del “Celio”, dove morì il 20 novembre 2004. Aveva scritto nel suo testamento “Sarebbe mio desiderio che nel giorno della mia sepoltura fosse celebrata la Santa Messa in latino, possibilmente la Santa Messa degli Angeli o Cum Jubilo con i paramenti sacerdotali bianchi con coro e organo, a gloria di Dio e di Maria Santissima” . 

Fu sepolto a Pesaro, nella cappella di famiglia, con indosso il saio dei cappuccini e sotto il saio la divisa dei granatieri di Sardegna. “Sono stato sempre un soldato – scrisse di sé – Ho cambiato Milizia, ma sono sempre un soldato, ho soltanto messo il saio sulla mia vecchia tuta mimetica da combattimento”.

Nel maggio 2015 è stata introdotta la causa di beatificazione di Gianfranco Chiti. La sua prima fase diocesana si è chiusa nel 2019. Oggi è servo di Dio e appartiene alla luminosa schiera di quegli uomini pacifici che sono chiamati figli di Dio.

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