Roberto de Mattei
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La Settimana di Passione
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La Settimana di Passione

Nel calendario liturgico la Settimana Santa è preceduta dalla Settimana detta di Passione. Le due settimane, quella di Passione e quella Santa, sono divise dalla Domenica delle Palme. La Domenica che apre la prima settimana è chiamata Domenica di Passione, perché in questo giorno la Chiesa comincia a dedicare i suoi pensieri ai patimenti del Redentore.

Sono gli ultimi giorni della vita pubblica di Gesù, che continua a operare miracoli e con le sue profezie annuncia la distruzione del tempio di Gerusalemme. Nella Settimana Santa Gesù appare come il mite e innocente Agnello che si offre in sacrificio per togliere i peccati del mondo. Nella Settimana di Passione Gesù sa che l’ora del sacrificio è prossima, ma non è ancora giunta, e combatte a viso aperto i Farisei, sciogliendo con l’arma della verità, i nodi dei loro artifici dialettici, della loro simulazione, dei loro intrighi. 

Gesù sa di essere odiato. Ai suoi discepoli dice: “Non è ancora arrivato il mio tempo; ma il vostro è sempre pronto. Il mondo non può odiarvi, ma odia me, perché faccio vedere che le sue opere sono malvagie” (Gv 7,1-13). Ai Giudei che lo accusano di essere indemoniato replica “Se io dico la verità perché non mi credete? Chi è da Dio, ascolta le parole di Dio. Per questo voi non le ascoltate, perché non siete da Dio”. E quando i Farisei gli chiedono “Se tu sei il Cristo, diccelo apertamente”, risponde loro: Ve l’ho detto e non credete: le opere che faccio nel nome del Padre mio, queste mi rendono testimonianza. Ma voi non credete, perché non siete delle mie pecore. Le mie pecorelle ascoltano la mia voce, io le conosco ed esse mi seguono” (Gv 10,22-38). 

I Giudei comprendono che Gesù si confessa Dio, e tentano di lapidarlo. Il Vangelo ci dice che Gesù andava per la Galilea, non volendo andare nella Giudea, perché i Giudei cercavano di farlo morire (Gv 7,1-13). 

Il popolo si chiede se non sia giunto finalmente il tempo di cantare Osanna al Figlio di David e i prìncipi dei sacerdoti e gli anziani del popolo temono che che Gesù di Nazaret venga proclamato re dei Giudei. La loro rabbia giunge al colmo quando Gesù risuscita Lazzaro in Betania. I prìncipi dei sacerdoti deliberano di ammazzare anche Lazzaro; perché molti per causa di lui abbandonavano i Giudei e credevano in Gesù. (Gv 12,10-36). San Giovanni dice che “Alcuni dei Giudei che videro il miracolo della Risurrezione di Lazzaro andarono a dirlo ai FariseiI prìncipi dei Sacerdoti ed i Farisei radunarono un concilio contro Gesù, in cui discussero tra loro dicendo: Che facciamo? Quest’uomo fa molti miracoli. Se lo lasciamo fare, tutti crederanno in lui e verranno i Romani e stermineranno il nostro paese e la nazione “(Gv 11, 46-48).

La risurrezione di un morto è un miracolo eclatante, che avrebbe dovuto aprire gli occhi dei Giudei e convertirli. Per alcuni certamente fu così, ma fa riflettere il fatto che per molti altri fu invece occasione di maggior peccato, a causa dell’odio e dell’invidia che dominavano la loro anima. Ci si chiede come è possibile non essere convinti da un miracolo, ma nella parabola del ricco epulone, che aveva chiesto ad Abramo di mandargli Lazzaro per far ravvedere i suoi fratelli, Abramo risponde: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti saranno persuasi” (Lc, 6,19-31). Chi rifiuta l’evidenza della verità, rifiuterà anche l’evidenza del miracolo. 

I buoni spesso tardano nelle loro risoluzioni, ma i malvagi non perdono tempo. I Farisei convocano un consiglio per discutere la situazione. Ma il conciliabolo rivela una contraddizione lampante. All’ordine del giorno è la preoccupazione dei Giudei per i miracoli di Gesù. Essi non ignorano, né negano l’esistenza di questi interventi straordinari di Dio, anzi li ammettono. Confessano che Cristo fa molti miracoli, ma non si pongono il problema se possa essere veramente il Messia. L’unica cosa che li preoccupa è che il popolo possa credere in lui, ricevendolo come un Messia. Non vogliono credere ai suoi miracoli, perché rifiutano la sua dottrina e la rifiutano perché, accettandola dovrebbero rinunziare ai loro vizi, al loro modo di vivere e di pensare. 

Non rivelano però qual è la vera ragione del loro odio. Per convincere gli indecisi, dicono “se lo lasciamo fare, tutti crederanno in lui e verranno i Romani e stermineranno il nostro paese e la nazione” (Gv, 11, 49), che invece è esattamente quello che accadrà rifiutando Gesù e uccidendolo. La distruzione di Gerusalemme e del Tempio fu la conseguenza della morte di Gesù, non della libertà lasciata alla   predicazione del suo Vangelo.   

Allora– continua san Giovanni –  uno di loro chiamato Caifa, che era pontefice in quell’anno, disse loro: Voi non capite nulla, e non pensate come sia meglio che un uomo solo muoia per tutto il popolo, e non perisca tutta la nazione”. E questo non lo disse da sé stesso, ma essendo pontefice di quell’anno profetò che Gesù doveva morire per la nazione, e non per la nazione soltanto, ma anche per raccogliere insieme i figli dispersi di Dio che stavano nel mondo” ( Gv 11,49-52).

Caifa, per raggiungere il suo fine, utilizza un argomento vero, ma capovolgendone il senso. Il suo cuore è perverso, perché solo l’odio lo spinge a chiedere la morte di Gesù, però il Vangelo ci dice che parlò per ispirazione dello Spirito Santo, che alle volte si serve della lingua dei malvagi, per annunziare una verità. Era vero infatti che fosse necessario che Cristo morisse affinché non tutti morissero, e fossero liberati dalla morte coloro che Dio aveva eletto alla salvezza eterna. Caifa inoltre si fa forte della sua autorità. E’ il Capo del Sinedrio, il Sommo Sacerdote, e molti tacciono per timore di contrastarlo. Non è un fariseo, ma un sadduceo, tuttavia le due principali correnti religiose dei Giudei, sono unite in questo momento contro Gesù. “E da quel giorno, approvando tutti la sentenza di Caifa, decretarono di dargli la morte. Gesù dunque non camminava più in pubblico tra i Giudei; ma si ritirò con i suoi discepoli nella città di Efrem” (Gv 11, 53). 

Gesù sapeva perfettamente quanto i Giudei andavano tramando contro di lui. Tuttavia attende il suo tempo e si ritira nella piccola città di Efrem, vicino al deserto, accompagnato dai suoi discepoli, per prepararsi alla sua missione. Il suo amore per la gloria di Dio e per la salvezza delle anime è infinitamente maggiore dell’immenso odio che lo sta avvolgendo. La riunione del Sinedrio non è un consiglio, è una occulta cospirazione, la prima di tante che hanno accompagnato da allora la storia del Corpo Mistico di Cristo. La Chiesa avrà sempre dei nemici che la odiano e vogliono distruggerla. Questi nemici vanno affrontati a viso aperto, con la spada a due tagli della parola di Dio. La Settimana di Passione ce lo ricorda.

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