Tra le tante guerre che hanno funestato l’Europa dopo la Rivoluzione francese una delle meno conosciute è la guerra di Crimea che si svolse tra il 1853 e il 1856 e che prende nome dalla grande penisola che si affaccia sul Mar Nero, oggi contesa tra Russia e Ucraina.
Eppure questa guerra merita di essere ricordata per diverse ragioni. La ragione principale è che fu la fine della cosiddetta Santa Alleanza che si era formata nel 1815 tra le grandi monarchie dell’Austria, della Russia e della Prussia, per combattere le Rivoluzioni che agitavano l’Europa. Questa alleanza era però innaturale perché queste tre potenze professavano religioni diverse. Cattolico era l’Impero austriaco, protestante il regno di Prussia, e ortodosso l’Impero russo. Non a caso la guerra di Crimea ebbe origine da una disputa fra Russia e Francia sul controllo dei Luoghi santi della cristianità in territorio ottomano: la Russia appoggiava il clero ortodosso e la Francia quello cattolico.
Ma una ragione altrettanto importante è che questa guerra fu un pericoloso tentativo di espansione della Russia zarista fino al Bosforo, approfittando dell’indebolimento dell’Impero ottomano. La conquista di quelle terre avrebbe significato per la Russia non solo il dominio del Mar Nero, ma anche quello del Balcani e del Mediterraneo. La reazione dell’Europa era dunque prevedibile. Quando l’Impero zarista occupò i principati danubiani di Moldavia e Valacchia e distrusse una flotta turca nel Mar Nero, il Regno Unito e la Francia inviarono due corpi di spedizione in aiuto dei turchi. Alle potenze occidentali si aggiunse nel 1855 il Regno di Sardegna, a cui Cavour voleva assicurare prestigio internazionale per compiere la Rivoluzione italiana. La caduta della città di Sebastopoli, principale base navale russa sul Mar Nero segnò la fine della guerra, sgretolando il mito dell’invincibilità della Russia, che si era formato dopo la sconfitta di Napoleone. Il Trattato di Parigi del 30 marzo 1856 assicurò la neutralità del Mar Nero, in nome della politica dell’equilibrio.
Ma la guerra di Crimea va ricordata anche per alcuni episodi di eroismo, avvenuti soprattutto nella battaglia di Balaclava il 25 ottobre del 1854. Quel giorno, il 93esimo Reggimento di fanteria Highlander, una piccola unità scozzese dell’esercito britannico, riuscì a fermare con una sottile linea di fuoco un attacco della cavalleria russa che avrebbe potuto decidere le sorti della battaglia.
La cavalleria russa composta da 2.500 uomini, stava avanzando contro il fronte britannico, quando un gruppo di quattro squadroni di ussari dell’Ingermanland, circa 400 uomini, cercarono di aggirare il nemico, diretti al campo di Balaclava, che era difeso da poco più di 200 Highlanders di Sua Maestà la Regina Vittoria. Il comandante del reggimento, sir Colin Campbell, disse ai suoi uomini “Da qui non c’è ritirata, signori. Dovete morire là dove vi trovate”. Un giovane ufficiale replicò a nome di tutti: “Sì, Sir. Faremo il nostro possibile”.
Normalmente, per affrontare una carica di cavalleria, la formazione prevedeva quattro file di fucilieri, ma non avendo uomini a sufficienza per coprire in lunghezza l’ampio terreno, Campbell ordinò al reggimento di disporsi in una linea di due file. Cento uomini erano inginocchiati con i loro moschetti ad avancarica, gli altri schierati in piedi alle loro spalle, anch’essi con i moschetti puntati. Tutti indossavano i kilt scozzesi e le tradizionali giubbe rosse inglesi.
Il corrispondente del Times di Londra, William H. Russell, che assisté alla battaglia dall’alto di una collina coniò l’espressione “Thin Red Streak” (“sottile linea rossa”), per indicare la fila degli Highlanders britannici dalle uniformi scarlatte. “Tra la cavalleria russa e l’accampamento di Balaclava – scrisse – si scorgeva solo una sottile linea rossa da cui spuntavano punte d’acciaio”.
I cavalleggeri russi, provenienti dalle selvagge regioni finniche, erano convinti di travolgere facilmente la esile linea rossa britannica, non solo per il loro numero superiore, ma per l’armamento di sciabole, lance, pistole e moschetti leggeri, che li rendeva tra le unità più temibili dell’esercito russo. Quando la carica iniziò, i fucilieri dell’Highlander rimasero immobili, con il dito sul grilletto, senza sparare finché non fosse giunto l’ordine. Fu solo quando gli ussari giunsero a cinquecento metri di distanza che Campbell ordinò di aprire il fuoco. La prima scarica di fucileria non fermò la carica e i russi erano arrivati a trecento metri quando risuonò il secondo ordine. Anche in questo caso pochi furono gli ussari che caddero colpiti. La situazione sembrava perduta. Rimaneva solo la possibilità di un’ultima raffica di moschetto. Il galoppo degli ussari sembrava travolgente, ma nessun fuciliere perse la calma. Passarono lunghi attimi prima che per la terza volta giunse l’ordine di fare fuoco. Una gran parte di cavalleggeri russi, colpiti a breve distanza, cadde, gli altri ripiegarono confusamente. Sul campo di battaglia si respirava l’odore acre della polvere e del fuoco, mentre si levava il suono delle cornamuse scozzesi per celebrare la vittoria.
I soldati britannici avevano prevalso sul nemico perché avevano dimostrato senso dell’onore, forte disciplina e capacità di auto-controllo. Il senso dell’onore impedì loro di retrocedere, la disciplina impose loro un’obbedienza ferrea agli ordini ricevuti, l’auto-controllo fu la capacità che essi dimostrarono di riuscire a dominare con la loro calma una situazione terribile.
Nel linguaggio comune, “la sottile linea rossa” è diventata una metafora per indicare un momento di estremo pericolo che viene affrontato con coraggio, disciplina e autocontrollo, in una parola con ordine, evitando il panico e la confusione.
In qualsiasi momento difficile della nostra vita, la calma deve dominare l’agitazione. C’è una calma naturale, che nasce dall’abitudine a controllare i propri sentimenti e le proprie passioni e c’è una calma soprannaturale, che è l’ordine e il raccoglimento delle potenze dell’anima. Nel caos tumultuoso dei nostri tempi l’ordine della nostra vita interiore è la sottile linea rossa che ci assicura sempre la vittoria. (Roberto de Mattei)
S. L’’eroismo degli Highlanders ispirò la canzone tradizionale scozzese A Scottish Soldier (The Green Hills of Tyrol). Il brano deriva dall’opera Guglielmo Tell di Rossini e fu trascritto per cornamusa nel 1854 dal sergente maggiore John MacLeod, che lo ascoltò suonato da una banda militare sarda durante la Guerra di Crimea
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