Roberto de Mattei
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Lo sfacelo della famiglia italiana
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Lo sfacelo della famiglia italiana

“La Repubblica” del 10 luglio pubblica ampio articolo di Linda Laura Sabbadini, dedicato a L’Italia delle famiglie in miniatura. Solo una su tre ha più di due membri. Questo è il titolo.

E’ ormai un lontano ricordo, un Amarcord – si legge – quello di un paese in cui le famiglie avevano un gran numero di componenti, o perché avevano molti figli, come a Sud, o perché più nuclei familiari vivevano insieme nelle zona della Terza Italia, Nordest e Centro, senza il Lazio”. Non è più così. Il 63% delle famiglie italiane ha al massimo due componenti. Quelle di sei componenti o più (due genitori e quattro o più figli) sono l’1% del totale. E al primo posto come tipologia familiare si collocano le persone sole, diventate quasi nove milioni, il 36.9% ancora più diffuse delle coppie con figli, senza altre persone, che non arrivano al 30%, ma che all’inizio degli anni ’80 erano la maggioranza. “Ma non basta. – continua l’articolo – Sono cresciute di molto le famiglie non tradizionali. Single non vedovi, famiglie monogenitori non vedove, libere unioni e coppie coniugate ricostituite. Ormai sono il 40% delle famiglie italiane. Hanno superato ampiamente i dieci milioni”.

Il 40 per cento delle famiglie italiane dunque sono “non famiglie”. Le libere unioni sono ormai l’11 per cento delle coppie. Ma non sono più come in passato forme familiare transitorie usate come periodo di prova dell’unione. Purtroppo tendono a stabilizzarsi, tant’è che le uniche nascite in continua crescita nell’Italia della permanente bassa fecondità sono quelle fuori del matrimonio. La giornalista de “La Repubblica” conferma che crescono le unioni civili, mentre i matrimoni continuano a diminuire e quelli con rito civile sono diventati maggioritari fin dal 2018.

Per chi crede nella famiglia naturale e cristiana, fondata sul matrimonio monogamico indissolubile, con il fine di mettere al mondo ed educare dei figli, queste cifre dimostrano l’ampiezza della catastrofe. Ma ci chiediamo a questo punto: il cambiamento epocale che abbiamo di fronte è dovuto a un processo irreversibile della storia? Sarebbe una visione molto riduttiva che non tiene conto della libertà dell’uomo e dell’esistenza di valori permanenti che non sono determinati dal divenire storico, ma lo trascendono e devono costituire la bussola di orientamento dell’agire umano. La famiglia è in crisi perché qualcuno ha voluto distruggerla. E in Italia l’inizio del processo di distruzione della famiglia ha una data ben precisa: il 1 dicembre 1970, con l’approvazione della legge n. 898 – “Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio“, che decretava la possibilità della fine del matrimonio, fino ad allora considerato indissolubile sia dal diritto canonico della Chiesa che dalla legge civile dello Stato.

Nel 1987 uno dei promotori del referendum anti-divorzista del 1974, il prof. Gabrio Lombardi, pubblicò sulla rivista “Studi cattolici” un articolo poi raccolto in volume (Perché il referendum sul divorzio? 1974 e dopo Ares, Milano 1988) in cui ha offerto un utile contributo per comprendere quali furono le responsabilità dei cattolici di fronte ad una legge fortemente voluta dai comunisti, dai socialisti e dalla massoneria. Socialista e massone, poi radicale con Pannella, fu il principale  promotore della legge, Loris Fortuna.

Una prima responsabilità risale alla così detta “scelta religiosa” dell’Azione Cattolica e di altre organizzazioni ecclesiali per cui il problema del divorzio e dell’indissolubilità del matrimonio civile era considerato al di fuori dell’interesse dei cattolici; la scelta religiosa, che si richiamava al Conciilio Vaticano II, culminò nella nascita dei “cattolici del no” all’abrogazione del divorzio. Ci fu poi la responsabilità della Democrazia Cristiana che il prof. Lombardi ricorda con le parole di un onesto senatore di questo partito, Guido Gonella: “quello che dovevamo fare noi fin dal primo momento era sacrificare anche i governi, pur di impedire l’approvazione della legge Fortuna”. Non fu fatto e fu, dice Gonella “un errore imperdonabile”.

 La legge divorzista fu approvata dal Parlamento italiano grazie a una maggioranza di comunisti, socialisti e liberali, ma il governo era quello di centro-sinistra presieduto dal democristiano Emilio Colombo, che non si dimise, né minacciò le dimissioni, ma assunse una posizione di neutralità e la firmò. Il potente Rettore dell’Università Cattolica Giuseppe Lazzati, amico personale di Paolo VI, in una lettera al Papa del Natale 1970, lo supplicava di far desistere i cattolici da un referendum che, scriveva, con linguaggio serpentino, potrebbe “aggravare un male che solo modi suggeriti da superiore sapienza potranno contenere”.

Malgrado il muro di gomma della Conferenza Episcopale Italiana, nella primavera del 1971 la raccolta delle firme ebbe un successo insperato: non le 500.000 firme richieste, ma 1milione, 370mila,134 firme depositate presso la Corte di Cassazione. Il 27 febbraio 1972 venne indetto il referendum, fissandosi la data di convocazione dei comizi elettorali per il giorno 11 giugno 1972, ovvero quattro mesi dopo. Se la consultazione elettorale si fosse tenuta in quella data probabilmente la legge sul divorzio sarebbe stata abrogata. 

Il decreto di indizione era firmato dal presidente della Repubblica Giovanni Leone e controfirmato dal presidente del Consiglio Giulio Andreotti. Ma l’indomani, 28 febbraio, i due medesimi politici democristiani, sciolsero anticipatamente le Camere. Questo scioglimento delle Camere, il primo dall’inizio della Repubblica, fu deciso proprio per allontanare il referendum. I due anni che passarono permisero, nel 1974, alla propaganda divorzista di orchestrare e vincere la sua battaglia. Fu dunque, sottolinea Gabrio Lombardi, una responsabilità gravissima di Andreotti e Leone, esattamente gli stessi due personaggi che nel 1978 avrebbero firmato e controfirmato, come presidente del Consiglio e presidente della Repubblica, la legge sull’aborto. 

Il professore cattolico-liberale, Arturo Carlo Jemolo, scriveva su “La Stampa” del 5 maggio 1974, alla vigilia del referendum: “Non fo pronostici inutili, sull’esito del referendum. Ho una sola certezza, che quell’esito, non muterà nulla nel tessuto della società italiana”. Cinquant’anni dopo tutti prendono atto dello sfacelo della famiglia italiana e solo i ciechi non vedono l’origine di questo sfacelo nell’introduzione del divorzio.

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