Pasqua di guerra e l’Occidente che muore
Le fiamme della guerra, della violenza, del terrore divampano nel mondo in questa Pasqua del 2024. Mentre la Russia attacca le città ucraine con i suoi missili ipersonici, un attentato colpisce il cuore di Mosca: la strage è rivendicata dall’Isis ed è consumata con la stessa efferatezza con cui il 7 ottobre Hamas ha aggredito lo Stato di Israele. L’Europa, lambita dalla guerra ai suoi confini, nel Consiglio europeo del 20-21 marzo a Bruxelles, rivela la sua incapacità ad armarsi per difendersi. Il ministro della Difesa italiano Guido Crosetto, interrogato dal giornalista Nicola Porro, ammette che di fronte a un attacco come quello all’Ucraina l’Italia capitolerebbe immediatamente (“Quarta Repubblica”, 25 marzo 2024).
Il problema non sta nel numero insufficiente degli uomini e delle armi, ma nel disarmo psicologico dell’Occidente, dove non c’è più posto per il sacrificio. Il grande pensatore spagnolo Juan Donoso Cortés (1809-1853) affermava che l’ora della Russia sarebbe suonata quando il socialismo avrebbe spento nei cuori degli europei il patriottismo (Discorso alle Cortes del 30 gennaio 1850, in Obras completas, vol. II, Bac, Madrid 1970, pp. 461-462). Il patriottismo, spiega san Tommaso, d’Aquino, presuppone la pietas, una virtù morale che accomuna l’amore per la patria a quello per i genitori (Summa Theologica, II-II, q. 101, a. 3). La pietas, che prima di essere una virtù cristiana fu una virtù romana, è un sentimento ormai perduto in una società «crudele e disumana» (Benedetto XVI, Enciclica Spe Salvi del 30 novembre 2007), che per egoismo uccide i suoi figli.
Il presidente francese Emmanuel Macron, il 27 febbraio 2024, ha proposto di mandare soldati Nato in Ucraina. Ma Macron è lo stesso Capo di Stato che ha presentato come un «messaggio universale» la costituzionalizzazione dell’aborto, approvata il 4 marzo dal Parlamento del suo paese (https://twitter.com/afpfr/status/1764714244639957334). Con la negazione del diritto alla vita innocente cade ogni principio morale e trionfa l’egoismo e il relativismo. Chi affronterebbe, e in nome di quali valori, i daghestani, i kazachi, i buriati, che dai monti del Caucaso e dalle steppe della Russia asiatica dovessero irrompere in Europa per farne terra di conquista?
La maggior parte dei leader politici europei ha preso le distanze dalle parole di Macron, affermando che esse rischiano di provocare una guerra nucleare. Nessuno ricorda però che c’è qualcosa di peggio della catastrofe nucleare, ed è il peccato, la trasgressione della legge divina, vera causa di tutte le sciagure individuali e collettive dell’umanità. Quando questa trasgressione è pubblica ed è proclamata come un diritto, attira inevitabilmente su di sé il castigo di Dio. Non è la proposta di inviare soldati in Ucraina ad avvicinare l’ecatombe nucleare, ma la proclamazione di leggi, in Francia e in Europa, che distruggono alle radici i princìpi dell’ordine naturale e cristiano.
Nello stesso mese di marzo 2024, il più noto giornalista russo, Vladimir Solovyov, nel corso del suo talk show, ha discusso su quale città francese colpire prima con l’atomica. «Non so decidermi tra Parigi e Marsiglia» ha detto ai suoi milioni di telespettatori (“Il Foglio quotidiano”, 23-24 marzo 2024). Le parole non sono i fatti, ma la facilità con cui, con gioiosa ferocia, si evoca lo sterminio di città nemiche, a quei fatti apre la strada.
A Fatima, nel 1917, la Madonna indicò nella Russia lo strumento del castigo divino per i peccati degli uomini e nel segreto di La Salette, rivelato a Mélanie Calvat nel 1846, si espresse in questi termini: «Parigi sarà bruciata e Marsiglia sarà inghiottita; diverse grandi città saranno scosse e inghiottite dai terremoti, si crederà che tutto sia perduto, non si vedranno che omicidi, non si sentirà che rumor d’armi e bestemmie” (Jacques Maritain, La Salette, a cura di Michel Corteville, Angelicum University Press, Roma 2022, p. 514).
La Madonna ha pianto a La Salette e ha chiesto penitenza a Fatima.Ma le parole di peccato, penitenza, castigo, scivolano, prive di significato, sulle coscienze anestetizzate degli uomini del XXI secolo.
Il 9 aprile 1939, giorno di Pasqua, sei mesi prima dell’esplosione della Seconda Guerra mondiale, Pio XII, eletto Papa da un mese, implorava sul mondo la pace di Cristo: «Non una pace senza contrasti o senza battaglie, ma pace conquistata attraverso una lotta mirabile tra la vita e la morte, mors et vita duello confixere mirando (Sequenza di Pasqua): pace frutto di vittoria guadagnata a prezzo di sangue poiché egli “pacificò il cielo e la terra col sangue della sua croce” (Colossesi, I, 20)».
«Ma purtroppo – continuava il Pontefice – a nessun tempo, forse, come ai giorni che trascorriamo, possono applicarsi le parole del profeta: “Gridavano pace, pace; e non vi era pace” (Geremia, VI, 14, VIII, 11). Se infatti volgiamo intorno lo sguardo, quale triste spettacolo Ci si presenta! E’ diffuso nel mondo un senso di agitazione e di scontento; sembra regnare in molte regioni un pauroso squilibrio foriero di mali più gravi; gli animi son presi da ansia e sgomento quasi si fosse alla vigilia di giorni peggiori. Tutto ciò è ben lontano da quella serena e sicura “tranquillità nell’ordine” (S. Agostino, De Civitate Dei, XIX, 13), che costituisce la vera pace». «La base unica e incrollabile su cui riposa la vera pace – ammoniva Pio XII nella sua omelia pasquale – è Dio. Dio conosciuto, rispettato, obbedito. Diminuire o distruggere questa obbedienza al Divino Creatore è lo stesso che turbare o completamente distruggere la pace negli individui come nelle famiglie; nelle nazioni come nel mondo intero».
Quando una guerra scoppia, o è alle porte, gli artefici della pace non sono coloro che per ottenerla invocano la resa incondizionata, ma coloro che ricordano che non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza ordine e non c’è ordine possibile al fuori del rispetto della legge naturale e divina. La vera pace è esattamente ciò che manca al mondo moderno, immerso nel caos permanente, nella perdita di quei supremi princìpi di riferimento che si radicano nella legge del Vangelo, di cui la Chiesa cattolica è custode e il Vicario di Cristo la voce pubblica. Ma l’afonia del Santo Padre Francesco, verso il quale, in questi giorni di Pasqua, si volgono con devozione i fedeli di tutto il mondo, sembra la metafora di un grave silenzio che avvolge la Chiesa.
Il Calvario, il Venerdì Santo, era immerso in un lugubre silenzio, interrotto solo dagli ordini secchi dei soldati romani, dalle imprecazioni dei Ladroni, dal pianto sommesso delle Pie donne. Il sacrificio doveva consumarsi e la vittima offerta sull’altare era l’Agnello innocente, l’Uomo-Dio venuto a riscattare i peccati degli uomini.
Oggi, vittima del sacrificio sarà soprattutto un’umanità colpevole, che rifiuta l’appello estremo del Cielo alla penitenza. Eppure le ore decisive della storia sono quelle dei sorprendenti capovolgimenti: il buon Ladrone Disma e il centurione Longino proclamarono pubblicamente la divinità di Cristo, mentre gli Apostoli, tranne san Giovanni, erano in fuga.
In questa Pasqua di guerra, nessuno presuma di sé. Abbiate compassione dell’Occidente che muore. Sul Calvario Gesù, Lux ex Oriente nata, rivolse i suoi occhi verso Occidente, affidandogli una grande missione. «Questa – spiega san Giovanni Damasceno – è una tradizione non scritta degli Apostoli: infatti molte sono le cose che ci hanno trasmesso in forma non scritta» (Esposizione della fede (De fide orthodoxa), Studio Domenicano, Bologna 2013, p. 603). Giustizia e pace si abbracciano insieme (Salmo 84) e restaurano l’ordine sotto lo sguardo di Cristo.
E’ sufficiente che questo sguardo divino carico di promesse si posi ancora sull’Occidente morente, perché la vita rifluisca, le tenebre si diradino e sorga l’aurora di un giorno nuovo che Pasqua annuncia: l’alba del trionfo del Cuore Immacolato di Maria.