La prima festa che la Chiesa celebra, dopo la Purificazione della Beata Vergine e la presentazione al Tempio di Gesù, è quella del vescovo e martire san Biagio. Il suo nome è ricordato dalla liturgia il 3 febbraio, giorno in cui è tradizione benedire la gola dei fedeli con due candele incrociate
San Biagio è stato un vescovo armeno vissuto tra il III e il IV secolo d.C. Originario di Sebaste, (attuale Sivas, Turchia), studiò la filosofia e la medicina. Nell’esercizio di quest’ultima disciplina dimostrò una grande competenza e amore del prossimo, per cui alla morte del vescovo di Sebaste, fu chiamato a succedergli a voce di popolo, divenendo così medico delle anime e dei corpi. Dopo la firma dell’editto di Milano del 313, che concedeva la libertà di culto ai cristiani, l’imperatore Costantino assegnò a suo cognato Licinio, autorità sulle regioni orientali dell’impero.
Licinio però, riaccese la persecuzione contro i cristiani, nominando come governatore della Cappadocia e della Piccola Armenia Agricolao, a cui affidò l’esecuzione dei suoi ordini. Il vescovo Biagio si rifugiò in una grotta sul monte Argeo, da dove continuava a dirigere i suoi fedeli. Miracolosamente gli uccelli ed altri animali gli portavano il cibo per sfamarsi e ogni sera si radunavano davanti alla caverna aspettando la sua benedizione. A volte capitava che qualche bestia ferita o malata si recasse alla grotta perché Biagio la guarisse col segno della croce.
L’anno seguente cominciarono a Sebaste i preparativi per festeggiare il quinto anno di regno dell’imperatore Licinio. Era la fine di gennaio del 315: poiché occorrevano fiere per le feste negli anfiteatri, s’inviarono cacciatori al monte Argeo con funi, gabbie e altri arnesi per catturarle. Un gruppo di soldati capitò per caso davanti alla grotta assistendo a uno spettacolo inconsueto: invece di azzannarsi, quelle bestie stavano pacificamente ad aspettare che il vescovo Biagio le benedicesse. I soldati corsero a riferirlo al prefetto Agricolao, il quale ordinò di catturare immediatamente il vescovo. Quando il giorno seguente i pretoriani giunsero alla grotta, Biagio comprese che era giunta l’ora del martirio e li accolse con le parole: “Benvenuti figli: vedo che Iddio non si è dimenticato di me”.
Mentre il santo era portato a Sebaste, una donna gli si avvicinò con il figlioletto, che stava soffocando per una lisca di pesce conficcata in gola: la sua benedizione lo guarì miracolosamente. Proseguendo il viaggio, san Biagio incontrò una donna disperata perché un lupo feroce le aveva sottratto l’unico maialino. “Donna, non ti affliggere, lo riavrai presto”, rispose il santo alla sua richiesta e subito arrivò il lupo restituendo docilmente il maiale.
Il governatore Agricolao fece condurre Biagio in catene fino al suo palazzo e, siccome il vescovo si rifiutava di sacrificare agli dei, ordinò di torturarlo con la fustigazione a una colonna. Anche il secondo interrogatorio non servì a nulla nonostante l’orrenda tortura: i carnefici lo adagiarono sull’ecùleo, (una sorta di cavalletto sul quale la vittima veniva tirata in opposte direzioni) slogandogli braccia e gambe. Il suo corpo fu poi straziato con pettini di ferro. Secondo gli Atti, dei Martiri ,Biagio venne quindi rinchiuso in una corazza rovente e poi rigettato in carcere. Fra la gente che assisteva alla tortura vi erano anche sette pie donne che avevano inzuppato fazzoletti nel suo sangue rimasto sul patibolo, considerandolo un sangue santo. Le stesse donne seguirono il corteo che riconduceva Biagio in carcere, cercando di lenire le sue ferite con panni imbevuti di balsami. I pretoriani se ne accorsero e le condussero dal prefetto con l’accusa di essere cristiane. Vennero decapitate alla presenza di due giovinetti che erano stati battezzati e cresimati precedentemente da san Biagio. Dopo un terzo interrogatorio Agricolao ordinò che Biagio fosse gettato in un lago con un sasso legato al collo. Il sasso affondò nell’acqua mentre il santo risalì alla superficie e camminò sulle acque fino alla riva. Finalmente il giorno seguente, fu decapitato insieme ai due giovinetti che aveva battezzato. I corpi di san Biagio e dei due fanciulli furono sepolti dalla pietà dei fedeli nello stesso luogo del martirio.
Prima di morire san Biagio pregò il Signore che fosse concessa la salute a chiunque lo invocasse per una malattia della gola o per qualsiasi altra infermità, Una voce dal Cielo gli disse che il suo desiderio era stato esaudito. Dopo la morte fu seppellito nella cattedrale di Sebaste, ma nel 723, durante le persecuzioni iconoclaste dell’imperatore bizantino Leone III Isaurico, una parte dei suoi resti venne traslata a Roma. Durante il viaggio un’improvvisa tempesta fece però fermare le reliquie a Maratea, sulla costa della Lucania, terra che ancora oggi riserva a san Biagio una grande devozione.
Da allora, san Biagio è venerato come patrono della città di Maratea. La Basilica di San Biagio, situata sulla sommità del Monte che da lui prende nome, è il principale luogo di culto dedicato al santo ed è meta di pellegrinaggi e celebrazioni religiose.
A Roma, esisteva la chiesa di San Biagio in Mercatello, situata in Piazza Aracoeli. Costruita nell’XI secolo, fu ricostruita nel XVII secolo e successivamente demolita nel 1928 durante i lavori di riorganizzazione urbana. Invece esiste ancora la chiesa di San Biagio degli Armeni o della Pagnotta, situata in via Giulia, che funge da chiesa nazionale per la comunità armena della città. Il nome “della Pagnotta” deriva dall’usanza di benedire e distribuire piccoli pani ai poveri nel giorno della festa del santo.
Chi il giorno della festa di san Biagio riceve in sua memoria la benedizione della gola, con questo atto di devozione riconosce la potenza di Gesù Cristo, capace di guarire, attraverso la intercessione dei santi, tutti i mali, fisici e spirituali da cui siamo piagati. Chiediamo a san Biagio di essere guariti dai mali e di prevenirli, ma soprattutto di sanare le piaghe che affliggono la Chiesa e la società in cui viviamo.
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