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San Giuseppe Cottolengo, il santo della Divina Provvidenza
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San Giuseppe Cottolengo, il santo della Divina Provvidenza

Martedì 30 aprile 2024 tutti i religiosi della Piccola Casa della Divina Provvidenza e delle congregazioni ad essa collegate hanno festeggiato la solennità di san Giuseppe Benedetto Cottolengo (1786-1842) a novant’anni dalla sua canonizzazione. 

Giuseppe Cottolengo fu infatti proclamato santo il 19 marzo 1934 nella Basilica di San Pietro da Papa Pio XI, che lo definì “gigante della carità” e “genio del bene”.  

  Giuseppe Benedetto Cottolengo nacque a Bra, cittadina della provincia di Cuneo, nel Piemonte sabaudo, il 3 maggio 1786. In quegli stessi anni l’ex-gesuita Nikolaus von Diessbach e il sacerdote Pio Brunone Lanteri fondavano a Torino la Amicizia Cristiana, che poi divenne la Amicizia Cattolica, una società segreta che si opponeva agli errori del tempo, l’illuminismo e il giansenismo, riproponendo l’autentico spirito cattolico, soprattutto la spiritualità di sant’Ignazio e la teologia morale di sant’Alfonso de’Liguori. Negli anni che vanno tra la Rivoluzione francese e la restaurazione sabauda del 1814, l’opera di disseminazione intellettuale e spirituale delle Amicizie preparò la grande rinascita del Piemonte cattolico nell’Ottocento.

Uno dei primi frutti di questa rinascita fu Giuseppe Cottolengo, che nel 1811 abbracciò la via del sacerdozio, imitato anche da due fratelli. Fu nominato canonico e divenne un apprezzato predicatore e conferenziere. Dio però chiedeva qualcosa di più da lui e gli manifestò la sua Volontà, in modo drammatico, la domenica mattina del 2 settembre 1827. Proveniente da Milano giunse a Torino una diligenza dove si trovava una famiglia francese in cui la moglie, con cinque bambini, era in stato di gravidanza avanzata e con la febbre alta. Dopo aver vagato per vari ospedali, quella famiglia trovò alloggio in un dormitorio pubblico, ma la situazione per la donna andò aggravandosi e alcuni si misero alla ricerca di un prete. Fu chiamato Cottolengo, e fu proprio lui, ad accompagnare alla morte questa giovane madre. Rimase profondamente colpito da questo evento e pregò davanti al Santissimo Sacramento: “Mio Dio, perché? Perché mi hai voluto testimone di una morte così triste? Cosa vuoi da me?”. Rialzatosi, fece suonare tutte le campane e accendere le candele, esclamando: “La grazia è fatta! La grazia è fatta!”. Da quel momento il Cottolengo fu trasformato: tutte le sue capacità, specialmente la sua abilità economica e organizzativa, furono utilizzate al servizio dei più bisognosi.

Affittò un paio di camerette nel centro di Torino e iniziò ad accogliere poveri e sofferenti, con l’aiuto di collaboratori e volontari. Tra essi una giovane vedova, Marianna Nasi, che fu alle origini delle sue suore, la cui giornata era divisa tra il servizio ai poveri e l’adorazione al Santissimo Sacramento. Fondò poi una famiglia religiosa di fratelli laici, e una comunità di sacerdoti, con la stessa missione di assistenza ai poveri e ai malati. Le dimensioni dell’iniziativa furono tali da obbligarlo ad allargarsi verso la periferia di Torino, a Valdocco. Cottolengo creò una sorta di villaggio, nel quale ad ogni edificio assegnò un nome significativo: “casa della fede”, “casa della speranza”, “casa della carità”, coinvolgendo uomini e donne, religiosi e laici, uniti per affrontare insieme le difficoltà che si presentavano. 

Il canonico Cottolengo era di una carità eroica, ma la sua virtù più caratteristica era la fede nella Divina Provvidenza.  Diceva: “Io sono un buono a nulla e non so neppure cosa mi faccio. La Divina Provvidenza però sa certamente ciò che vuole. A me tocca solo assecondarla. Avanti in Domino”. Fu detto che una santa gara si avvertiva fra il totale abbandono del Cottolengo nelle mani della Divina Provvidenza e la cura della Provvidenza Divina nel premiare, spesso in modo prodigioso, la smisurata fiducia che egli aveva in essa.

Nello spazio di quindici anni, Cottolengo realizza opere straordinarie, ma conosce anche straordinarie difficoltà. Nel 1838 viene denunciato per i debiti che fa per le sue case e parte un’inchiesta governativa nei suoi confronti. Il Re Carlo Alberto, invia due suoi uomini di fiducia il conte di Collegno e il conte di Castagnetto, che lo interrogano severamente. Cottolengo risponde: “Ho esaminato la casa per vedere se vi è qualche disordine tale da attirare l’abbandono del Cielo, non vi è nulla. Dunque perché le risorse mi vengono meno? Ecco ciò che penso: nella Piccola Casa non ho mai lasciato un letto vuoto. Ora da qualche tempo ho due o tre camere sottotetto vuote. Ecco la causa dell’abbandono di Dio. Ho mancato di fiducia. Datemi una piccola somma affinché io possa ripulirle, allestirle e riempirle di poveri, e fra un mese la situazione sarà capovolta”. Nel diario del conte di Castagnetto che riporta il dialogo, si legge: “Il conte di Collegno ed io ci guardammo: dopo tre ore di discussione giungemmo alla conclusione che per sanare una situazione finanziaria disastrosa bisogna aumentare le spese! La fede di quest’uomo è ben grande e ci è mancato il coraggio di opporvici”.

La sera Cottolengo scrive al conte di Castagnetto, “Ho ferma fiducia di arrivare a Pasqua vedendo allargata la mano di Dio sulla Piccola Casa”. E così’ avvenne. Arrivarono delle inaspettate donazioni e per Pasqua il debito fu ripianato. 

Era il 1838. Cottolengo aveva davanti a sé solo quattro anni di vita nei quali fondò cinque monasteri di suore contemplative e uno di eremiti, considerandoli tra le realizzazioni più importanti. Mancano tre giorni ai suoi cinquantasei anni quando rimane vittima di un’epidemia di tifo. Muore a Chieri, il 30 aprile 1842, mentre Torino è in festa per le nozze del giovane Re Vittorio Emanuele II. Le sue ultime parole sono: “Misericordia, Domine; Misericordia, Domine.  Buona e Santa Provvidenza… Vergine Santa, ora tocca a Voi”.

Con san Giuseppe Cafasso, san Giovanni Bosco, san Luigi Orione e tanti altri santi e beati, san Giuseppe Cottolengo costituisce una fulgida espressione di quella grande fioritura spirituale piemontese che aveva avuto i suoi prodromi nell’opera silenziosa, ma decisiva delle Amicizie cristiane.

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