Roberto de Mattei
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San Massimiliano Kolbe, apostolo del Regno di Maria
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San Massimiliano Kolbe, apostolo del Regno di Maria

Il 14 agosto la liturgia universale della Chiesa ricorda san Massimiliano Maria Kolbe, il grande apostolo dell’Immacolata del XX secolo.

Raimondo Kolbe nacque in Polonia il 7 gennaio 1894 da ferventi genitori cristiani. Accolto nel collegio dei francescani conventuali di Leopoli prese il nome di Massimiliano. Studiò a Roma dove conseguì la laurea in filosofia e in teologia e fu ordinato sacerdote, il 28 aprile 1918. Celebrò la sua prima Messa il giorno successivo all’altare della cappella di sant’Andrea delle Fratte dove la Madonna nel 1842 era miracolosamente apparsa, convertendolo, all’ebreo Alfonso Ratisbonne. 

A Roma, fondò nel 1917 la Milizia dell’Immacolata per la conversione di tutti gli uomini per mezzo di Maria. Dopo sei anni, ammalatosi di tubercolosi, ritornò in Polonia, a Cracovia, e non potendo insegnare a causa della sua salute malferma, si dedicò all’apostolato mariano, soprattutto con la stampa, estendendo il suo apostolato missionario in Europa e in Asia. Il castigo della guerra stava tuttavia per abbattersi sull’Europa, interrompendo bruscamente tutti i suoi grandi progetti. Il 1° settembre 1939 la Germania invase la Polonia; tre giorni dopo il convento di Niepokalanów, centro delle sue attività, venne sgomberato dai tedeschi e padre Kolbe fu tratto in arresto e internato nel campo di concentramento di Auschwitz. I testimoni raccontano che “Egli viveva giornalmente addirittura di Dio. A Dio ci attirava tutti e desiderava che noi si vivesse bene, che si sopportasse bene la vita del lager. Aveva addirittura in sé una specie di calamita con cui ci attirava a sé, a Dio e alla Madre Santissima. Ci parlava spesso di Dio e ci inculcava che Dio è buono e misericordioso. Il Servo di Dio desiderava convertire l’intero lager… ” .  

Auschwitz fu l’ultimo terreno missionario per padre Kolbe e la morte l’ultimo suo gesto di apostolato, suggello di una vita che aveva avuto l’eroismo come meta. “Le circostanze che accompagnarono la condanna a morte di padre Kolbe furono le seguenti: – attesta lo stesso prigioniero per cui Kolbe offrì la vita – dopo la fuga di un prigioniero dal nostro blocco, venimmo allineati in dieci file, durante l’appello della sera. Il Lagerführer Fritsch (comandante del campo) circondato dalle guardie si avvicinò, e cominciò a scegliere nelle File dieci prigionieri per mandarli a morte. Il Fuhrer indicò anche me col dito. Uscii dalla fila e mi sfuggì un grido, che avrei desiderato rivedere ancora i miei figli. Dopo un istante, uscì dalla fila un prigioniero, offrendo sé stesso in mia vece. Una guardia lo condusse al gruppo dei condannati a morte e mi fece rientrare nella fila”

I dieci condannati furono rinchiusi in un bunker e condannati alla morte per fame.  

Gli ultimi giorni di padre Kolbe ci sono stati descritti da un testimone, addetto agli umili servizi nel bunker: “Dalla cella dove erano gli infelici si udivano ogni giorno le preghiere recitate ad alta voce, il Rosario e canti religiosi, ai quali si associavano anche i prigionieri delle altre celle. Nei momenti di assenza delle guardie scendevo nel sotterraneo per conversare e consolare i compagni. Le calde preghiere e gli Inni alla SS. Vergine si diffondevano per tutto il sotterraneo. Mi sembrava di essere in chiesa. Incominciava il p. Massimiliano Kolbe, e tutti gli altri rispondevano” 

Dopo un’agonia di circa due settimane, padre Kolbe, con gli ultimi sopravvissuti, fu ucciso mediante iniezione di acido fenico nella vena del braccio sinistro. La morte gli conferì un fascino singolare. Il suo volto sereno e puro era raggiante. Era il 14 agosto 1941, vigilia della festa dell’Assunzione.

  Durante l’autunno dell’anno 1940 – testimonia un confratello – nel corso di una conversazione con padre. Massimiliano, gli dissi: “Lei, Padre, ci dice sempre che, se la Gestapo ci portasse via e noi si perisse in un campo, sarebbe un martirio per la fede; intanto, tante persone vengono continuamente arrestate, molte periscono nei campi, e, tuttavia, non si può dire che esse periscano per la fede, ma per la patria! Perché la nostra morte dovrebbe essere appunto una morte per la fede?”.

Il Padre mi guardò, spalancando gli occhi, e rispose con convinzione: “Si, caro figliuolo, la nostra morte sarebbe un martirio per la fede, ed il perché te lo spiegherò subito:“Subito da principio, quando ci riunimmo nel convento, spiegai allo “starosta” (capo del distretto) tedesco a Sochaczew, perché ci trovavamo riuniti nel convento in così grande numero; quale era il nostro scopo, che non avevamo alcun fine politico, ma solo religioso, nonché la premura di guadagnare anime all’Immacolata; per di più gli presentai il piccolo diploma della Milizia dell’Immacolata, il quale è il riassunto dei nostri ideali. Per questi ideali, contenuti nel piccolo diploma, cioè per l’adoprarci a santificare noi stessi e a santificare le altre anime, siamo pronti a dare la vita.“  I Tedeschi sanno quindi ufficialmente, quale sia lo scopo per cui rimaniamo in convento, e qualora tentassero qualcosa contro di noi, lo farebbero per odio alla religione. Il nostro sacrificio dunque, offerto in simili circostanze alla Immacolata, sarà un vero martirio per la S. Fede”.

Massimiliano Kolbe fu l’apostolo del Regno di Maria di cui hanno parlato grandi figure come san Luigi Grignion di Montfort e Plinio Correa de Oliveira. “Viviamo in un’epoca – scriveva – che potrebbe essere chiamata l’inizio dell’era dell’Immacolata”;  “…sotto il suo vessillo si combatterà una grande battaglia e noi inalbereremo le Sue bandiere sulle fortezze del re delle tenebre. E l’Immacolata diverrà la Regina del mondo intero e di ogni singola anima, come la beata Caterina Labouré prevedeva”; l’Immacolata sarà, anzi dovrà essere riconosciuta Regina di tutti e di ogni singola persona, in Polonia e nel mondo intero, e al più presto possibile: ecco la nostra parola d’ordine, per la quale torna conto vivere, lavorare, soffrire e morire” 

  San Massimiliano Kolbe non conosceva la grande promessa di Fatima, ma aveva previsto “non lontano, né un puro sogno“, dopo quella che aveva definito “la prova del sangue“, l’avvento del giorno grandioso in cui la Russia si sarebbe convertita e la statua dell’Immacolata sarebbe stata solennemente intronizzata nel cuore di Mosca.

In vita molti derisero, o fraintesero, i suoi ideali di apostolato. Tra le difficoltà che i militi dell’Immacolata sono destinati a incontrare, la più dura – avvertiva padre Kolbe – non è la fatica del lavoro, né la persecuzione da parte dei nemici, ma “quella persecuzione alla quale ci possono sottoporre persone assennate, prudenti e perfino devote e sante”. Da molti, compresi alcuni suoi confratelli e superiori, fu così accusato, di essere un “sognatore chimerico” e di avere esagerato nel culto dell’Immacolata. La storia gli avrebbe dato ragione. Pio XII nella enciclica Ad caeli Reginam dell’11 ottobre 1954 offrì le basi teologiche per il culto a Maria Regina del Cielo e della terra e nel suo discorso del 1° novembre 1954, affermò che “l’invocazione del regno di Maria è […] la voce della fede e della speranza cristiana”.  

Giovanni Paolo II canonizzò padre Massimiliano Kolbe il 17 ottobre 1982. II Regno di Maria è il grande ideale per il quale oggi lottano e pregano migliaia di anime in tutto il mondo.

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