Verso la guerra globale? Ducunt fata volentem, nolentem trahunt
Mentre missili e droni solcano i cieli dal Mar Nero al Mediterraneo, la preoccupazione delle diplomazie occidentali sembra essere quella di procrastinare il più possibile una conflagrazione generale da tutti ritenuta inevitabile. Una delle ragioni di questo pessimismo è l’apparente mancanza di una via di uscita di fronte a questioni internazionali sempre più intricate, come quelle dell’Ucraina e del Medio Oriente. Solo una visione assiologica della politica potrebbe offrire uno spiraglio di luce, ma oggi ogni Stato, ogni coalizione, fa proprie le categorie di Carl Schmitt, secondo cui spetta a chi guida i destini dei popoli decidere di volta in volta chi è l’amico e chi il nemico. All’ordine sociale tradizionale, fondato sulla agostiniana «tranquillità nell’ordine» (De Civitate Dei, lib. 19, c. 12, 1), Schmitt oppone, come norma della politica, il principio di un disordine, fondato sulla teoria dell’homo homini lupus di Hobbes. Però nell’epoca del disordine internazionale, nulla può essere previsto e calcolato con certezza e la politica si trasforma in un gioco d’azzardo, la cui unica regola è l’imponderabile. Probabilmente né la Russia aveva ben calcolato il rischio dell’invasione dell’Ucraina, né Hamas le conseguenze dell’attacco del 7 ottobre. Il processo delle vicende successive è all’insegna dell’incertezza e dell’aleatorietà.
In questa prospettiva, la discussione sulle responsabilità degli eventi è in sé sterile, perché nessuno, fin dall’inizio, ha voluto che le cose vadano come stanno catastroficamente andando. L’epoca dei complotti, in cui tutto poteva essere organizzato, è stata travolta da quella del caos permanente. Le parole di Seneca «ducunt fata volentem, nolentem trahunt» (“Il fato conduce colui che vuole lasciarsi guidare, trascina colui che non vuole”, Epistole a Lucilio, 107, 11, 5) si applicano ad una situazione in cui un mondo che volta le spalle a Dio, unico Signore della storia, si trova sottomesso alla legge inesorabile di un destino che non padroneggia. Lo sguardo deve essere dunque spostato dal punto di partenza al possibile punto di arrivo degli avvenimenti.
Per quanto riguarda il Medio Oriente, il braccio di ferro Teheran-Tel Aviv ha due sbocchi possibili: il crollo del regime iraniano o la cancellazione dello Stato di Israele. Nel primo caso sarebbe scongiurato il pericolo di un intervento nucleare dell’Iran e Israele potrebbe riprendere la via degli “Accordi di Abramo”, interrotti dopo l’attacco del 7 ottobre, per costruire rapporti di pace con alcuni paesi arabi. Nel secondo caso, la scomparsa dello Stato di Israele sarebbe considerato dall’umma islamica il simbolo del crollo dell’Occidente e l’inizio di una riconquista musulmana dell’Europa. Terre che appartennero all’Islam, dalla Sicilia all’Andalusia, sarebbero rivendicate e il progetto ideologico e demografico dell’Eurabia, si trasformerebbe in realtà.
Che cosa potrebbe accadere contemporaneamente in Ucraina? Anche qui abbiamo di fronte due quadri possibili. In un primo caso il vincitore delle prossime elezioni americane, Biden o Trump che sia, continua a fornire all’Ucraina le armi per combattere, permettendo a Zelensky di resistere a Putin e, sulla base di questo rapporto di forza, di cercare un negoziato accettabile. Nel secondo caso, invece, gli Usa e l’Europa abbandonano Kiev alla sua sorte, l’esercito russo dilaga fino a Leopoli, l’Ucraina ritorna a far parte dell’Impero russo, la vittoria spinge Putin ad allargare il suo progetto espansionistico ai paesi che facevano parte della disciolta Unione Sovietica e a imporre a quelli ad essi limitrofi il suo protettorato.
In entrambi i casi, l’abbandono di Israele e dell’Ucraina, segnerebbe la fine dell’Occidente. L’Europa meridionale cadrebbe sotto il giogo dell’Islam in condizioni di dhimmitudine e l’Europa orientale, fino ai Balcani, diverrebbe vassalla di Mosca. Ma poiché tra la Russia e il mondo islamico corre una plurisecolare inimicizia, non si può escludere che l’Europa possa divenire, in questo caso, una terra di scontro tra i due imperialismi, come avvenne quando, nel XVI secolo, le potenze di Francia e Spagna lottarono per impadronirsi della penisola italiana.
In una situazione in cui l’atteggiamento degli Stati Uniti sarà decisivo, la cosa più saggia che l’Europa può fare è quella di armarsi, anche a costo di diminuire in seguito a questa scelta il proprio tenore di vita. Ma gli europei vorranno farlo o preferiranno discutere all’infinito sulla mancanza delle risorse economiche e sulla difficoltà dei passaggi giuridici necessari per affrontare una guerra? Per armarsi ci vorrebbe quello spirito combattivo che ha fatto grande l’Europa nei secoli e che discende dall’insegnamento del Vangelo, secondo cui Cristo è venuto a portare non la pace, ma la spada (Mt. 10, 34-35; Lc. 12, 51-53). Oggi invece si cerca la pace ad ogni costo e lo slogan di un tempo “meglio rossi che morti”, è stato sostituito da quello: “meglio la sottomissione che la guerra”.
Papa Francesco lancia incessanti appelli alla pace, come fecero i suoi predecessori alla vigilia dei due grandi conflitti mondiali del Novecento. Ma i Papi del Novecento individuarono la causa della guerra nell’abbandono della legge di Dio nella vita internazionale e indicarono il ritorno alla legge naturale e alla fede di Cristo come l’unica condizione per instaurare la vera pace.
La pace non potrà certo essere assicurata da quello che viene definito l’“ordine liberale”. Il sogno di costruire una civiltà sui princìpi dell’illuminismo e della Rivoluzione francese è miseramente fallito. Non è certo in nome di quei valori che l’Occidente può illudersi di opporsi al nemico che lo assale. Ma è ancor più illusorio immaginare che si possa trovare un compromesso con il mondo islamico che ci assale, o pensare che un baluardo contro il caos possa essere rappresentato dalla Russia di Putin.
E’ vero: né nei paesi islamici, né in Russia c’è posto per il matrimonio omosessuale o la teoria del gender, ma in essi neppure esiste lo spazio per la diffusione della fede cattolica. In Occidente, invece, la dittatura del relativismo perseguita i cristiani, ma i giovani tornano a Dio, affollando le chiese e riempiendo i seminari quando la religione cattolica è proposta secondo la dottrina e la liturgia tradizionali. Questa rinascita è preclusa sia in terra d’Islam, dove la testimonianza cristiana è punita con la morte, sia nella Russia ortodossa, dove le leggi proibiscono l’apostolato dei cattolici. Nell’Occidente corrotto la libertà ancora esiste, e il ritorno alla civiltà che fece grande l’Europa, con l’aiuto di Dio, è ancora possibile.
Non c’è da farsi illusioni. Il gioco d’azzardo degli attori sul grande palcoscenico è destinato ad essere rovinoso e gli appelli ad una pace incondizionata non riusciranno a coprire il fragore delle armi. L’incendio potrà essere spento solo da un amore per la civiltà cristiana disposto fino all’estremo sacrificio.