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“Dignitas infinita”: un getto di acqua fresca nell’incendio?
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“Dignitas infinita”: un getto di acqua fresca nell’incendio?

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La Dichiarazione Dignitas infinita, pubblicata l’8 aprile 2024 dal Dicastero per la Dottrina della Fede, con l’approvazione di papa Francesco, ha suscitato controversie, come spesso accade ai documenti del Regnante Pontefice.

Su “Corrispondenza Romana” del 10 aprile (https://www.corrispondenzaromana.it/la-dichiarazione-dignitas-infinita-e-il-mistero-della-chiesa-nel-nostro-tempo/), ho presentato le parti salienti del documento e ne ho proposto un criterio di lettura che è quello del cattolico militante, quale mi onoro di essere: un cattolico che combatte contro i nemici della Chiesa e della Civiltà cristiana e che ha come suo punto di riferimento il Sommo Pontefice, del quale accoglie sempre con grande attenzione e deferenza i documenti, cercando di interpretarli pro bono. Quando ciò non è possibile, prendendone le distanze, e se necessario criticandoli, ma sempre con il filiale rispetto dovuto al Vicario di Cristo. Mi è maestro in questo il prof.  Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995), il quale, commentando sulla “Folha de S. Paulo” del 7 marzo 1979 il messaggio di Puebla di Giovanni Paolo II del 28 gennaio dello stesso anno, affermava che “vi è un grado di attenzione, di minuzia di analisi, di ampiezza di commento che, tra i documenti usciti da mano d’uomo, anche quando favoriti dalla grazia di Dio, gli insegnamenti di un Pontefice meritano a titolo assolutamente straordinario”.

In quasi tutti i documenti pontifici post-conciliari ci sono ombre e luci. Talvolta prevalgono le luci, talvolta le ombre. Perfino nelle encicliche Humanae Vitae (1968) di Paolo VI ed Evangelium Vitae (1995) di Giovanni Paolo II le ombre non mancano. Il che non ha impedito che questi documenti siano entrati nella storia e nel Magistero della Chiesa per la loro riaffermazione della verità cattolica contro i gravi peccati della contraccezione e dell’aborto. Le parole dei Papi devono infatti essere situate nel contesto storico della perenne lotta tra la Chiesa e gli errori del suo tempo. 

Sotto questo aspetto, che potremmo definire dinamico o processuale, la Dignitatis infinita viene dopo la Fiducia Supplicans e tanti altri documenti di papa Francesco che hanno dato l’impressione di un cedimento al mondo e di un allontanamento dal Magistero. Ma la Dignitas infinita appare come una novità, come dimostrano le reazioni negative del progressismo internazionale.  “No a madri surrogate e gender. Il Vaticano sceglie la linea dura”, ha titolato, ad esempio, “La Repubblica” del 9 aprile, sottolineando che nel documento viene definita “pericolosissima la teoria che cancella le differenze tra i sessi. E la gestazione per altri va proibita a livello universale” (p. 16). 

Alcuni osservatori del mondo tradizionalista e conservatore negano invece che questo mutamento di linea sia presente nella Dichiarazione, e respingono papa Francesco nel campo avversario, come negando che da Roma, almeno finché c’è questo Pontefice, possa mai giungere qualcosa di accettabile. La prova sarebbe data dagli errori e dalle omissioni che sono presenti nel documento. 

Ma la storia, insisto su questo punto, è fatta di ombre e di luci e chi analizza la situazione con equilibrio e ponderazione deve tener conto delle une e delle altre. Il termine “dignità infinita”, già usato da Giovanni Paolo II, è certamente inappropriato, ma bisogna tener conto che questa iperbole vuole opporsi a un ecologismo radicale che vorrebbe dissolvere la stessa natura umana. La Dichiarazione della dottrina della Fede riafferma invece l’esistenza di un ordine naturale su cui si fondano le disuguaglianze che caratterizzano il creato, a cominciare dall’ “ineliminabile differenza sessuale fra uomo e donna” (n. 58).

Alcuni lamentano che il Papa abbia taciuto su omosessualità e contraccezione, altri vedono nel documento una cattiva antropologia o un’ambigua definizione dei rapporti tra natura e grazia. Per non parlare della condanna della pena di morte, che sembra contraddire l’insegnamento della Chiesa su questo punto. Ma queste e altre ombre che si possono riscontrare nel documento rischiano di far dimenticare che, per la prima volta in undici anni di pontificato, ci troviamo di fronte ad un testo che, in maniera sistematica, sulla base della legge naturale, condanna in maniera inequivoca l’aborto, l’eutanasia, il suicidio assistito, la teoria del gender, la maternità surrogata e il cambio di sesso. Queste parole sono una boccata di ossigeno in un’atmosfera soffocante in cui chi vuole rimanere fedele alla dottrina della Chiesa rischia di morire di asfissia.

Torniamo al prof. Plinio Corrêa de Oliveira. Quando, nell’Istruzione su alcuni aspetti della teologia della liberazione, Libertatis nuntius del 6 agosto 1984, l’allora cardinale Ratzinger prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede condannò la teologia della liberazione non mancò chi mise in rilievo le numerose ombre del documento: l’“opzione preferenziale per i poveri” (n. 68), cara alla sinistra storica; l’elogio delle “nuove comunità ecclesiali di base”, o altri gruppi di cristiani,  considerati “motivo di grande speranza per la Chiesa” (n. 69); la Chiesa “esperta in umanità” (n. 72); il richiamo alla “civiltà dell’amore” (n. 81) e alla “cultura del lavoro” (n. 84); la subordinazione del diritto alla proprietà privata “al principio superiore dell’universale destinazione dei beni” (n. 87) e l’idea di una missione della Chiesa “illuminata dal Concilio Vaticano II” (n. 96). Un Concilio in cui il cardinale Ratzinger era stato protagonista come perito teologico del cardinale Josef Frings, uno dei contestatori di Paolo VI sull’Humanae Vitae.

E tuttavia, commentava Plinio Corrêa de Oliveira: “Per chi si sentiva angustiato davanti a questo spettacolo, per il momento tragico, ma che in breve tempo può diventare apocalittico, vedere che un organo come la Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede afferma, nero su bianco, la incompatibilità della dottrina cattolica con il marxismo è come per qualcuno, che si trova dentro un incendio, sentirsi arrivare, inaspettatamente, il getto di acqua fresco e benefico di una pompa di pompieri. E a me che, come presidente del consiglio nazionale della TFP brasiliana, sono stato il primo firmatario della ricordata dichiarazione di resistenza alla Ostpolitik vaticana, tocca il dovere di giustizia di manifestare in questo momento la gioia, la gratitudine e soprattutto la speranza che provo, dentro all’incendio, per l’arrivo di questo sollievo. So che vi sono fratelli nella fede esterni alle file della TFP, soprattutto fuori del Brasile, che si astengono dal manifestare analoghi sentimenti, principalmente perché pensano che una sola pompa sia insufficiente per spegnere tutto un incendio. Anch’io penso che una sola pompa non spegne un incendio. Ma questo non mi impedisce di salutarla come un beneficio. Tanto più che non ho prove del fatto che rimarremo solamente con questa pompa. Non è stata inaspettata la istruzione del cardinale Ratzinger? Un passo inaspettato non invita ad aspettarne altri nella stessa direzione, anch’essi più o meno inaspettati?”.

Papa Francesco non è il cardinale Ratzinger, ma il cardinale Ratzinger, divenuto Benedetto XVI,  non è stato Pio XII, né san Pio X. Tutti sono stati però successori di Pietro e Vicari di Cristo. E il getto d’acqua di Dignitas infinita, per quanto debole, porta un sollievo tanto maggiore quanto oggi è terribile il fuoco che divampa e il fumo che ci asfissia.

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