Roberto de Mattei
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La battaglia dei simboli nella civiltà dell’immagine
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La battaglia dei simboli nella civiltà dell’immagine

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Due episodi avvenuti in Italia negli stessi giorni di aprile 2024 ci spingono alla riflessione. 

A Milano si è aperta una controversia su una statua che rappresenta la maternità e che doveva essere situata in una piazza, in zona di Porta Venezia. La statua, in bronzo, rappresenta una donna che allatta un neonato ed è intitolata Dal latte materno veniamo. E’ stata realizzata dalla scultrice Vera Amodeo ed è stata donata dalla figlia dell’artista. Però la commissione del Comune che valuta la posa di opere d’arte in spazi pubblici ha dato parere negativo alla collocazione. Questa la motivazione: «La scultura rappresenta valori rispettabili ma non universalmente condivisibili da tutte le cittadine e i cittadini, ragion per cui non viene dato parere favorevole all’inserimento in uno spazio condiviso».  La presa di posizione della Commissione sembra che non sia stata approvata dal sindaco di Milano Giuseppe Sala, che vorrebbe esporla alla clinica Mangiagalli, ma sono gli ambienti di sinistra a cui egli si è legato che contestano il monumento.

Quando nel 2022 è stata eretta a Milano, in Largo Richini, una statua dedicata alla astrofisica Margherita Hack, qualcuno aveva notato che dei 121 monumenti che attualmente punteggiano la città, nemmeno uno su suolo pubblico era dedicato a una donna. «Sono certa che questo sia solo l’inizio di una lunga serie di azioni positive – disse la consigliera comunale del Pd, Angelica Vasile, promotrice della mozione che chiedeva proprio l’intitolazione di statue a figure femminili in città – perché una società più giusta ed equa passa anche dal riconoscimento del grande contributo delle donne alla scienza, all’arte, alla storia, alla letteratura, e anche alla conquista della democrazia nel nostro Paese». Ma tra le figure femminili, di cui la rappresentante del Partito Democratico auspicava il pubblico riconoscimento, sembra che non ci sia posto per quella di una madre che allatta, malgrado essa costituisce un chiaro modello di femminilità, o forse proprio perché è considerata un cattivo modello dall’ideologia abortista e LGBT.  

Sempre nel mese di aprile un’altra polemica si è aperta a proposito di un monumento all’alpino che dovrebbe essere collocato in Parco Tito Livio, nel centro di Padova. La statua realizzata in bronzo da Ettore Greco, raffigura un alpino, con una mano sopra gli occhi per scrutare l’orizzonte, l’altra appoggiata ad un moschetto e ai piedi il tradizionale cappello. Una parte della giunta comunale di centro-sinistra ha rifiutato la statua per il suo bellicismo. La pietra dello scandalo è il fucile, considerato un inaccettabile simbolo di guerra. Il sindaco Sergio Giordani si trova ora a dover superare l’opposizione che viene dalle associazioni pacifiste ma anche da quelle femministe che indicano come priorità l’installazione di una statua femminile in Prato della Valle.

Gli Alpini sono il corpo militare più amato in Italia, per le sue struggenti canzoni di guerra e per le sue grandi adunate di pace, ma soprattutto per il coraggio, la tenacia, lo spirito di sacrificio, dimostrato nelle Alpi italo-austriache e sul fronte del Don nelle due grandi guerre del Novecento.  I valori alpini sono un fondamento della nostra convivenza civile: famiglia, Patria, dovere, sacrificio, ma forse proprio per questo devono essere cancellati in un’Italia che pullula di monumenti ai caduti in cui sono raffigurati fucili e sciabole, senza che nessuno lo abbia mai interpretato come un incitamento alla guerra.

I due casi di Padova e di Milano dimostrano l’importanza dei simboli nella battaglia delle idee. La cancel culture e la cosiddetta ideologia woke vorrebbe azzerare la memoria storica dell’Occidente, in nome di un relativismo dissolvitore. A Londra la contestazione ha colpito anche la statua di Winston Churchill, il premier britannico, che è accusato di razzismo e colonialismo, ma che è soprattutto colpevole di incarnare la fierezza e lo spirito guerriero dell’Occidente. L’Occidente deve essere spogliato della sua storia e della sua identità, per genuflettersi davanti a popoli portatori di opposti valori.

L’accostamento di Padova e Milano non è casuale. Il pacifismo e l’abortismo hanno una stessa matrice: una concezione della vita come benessere del proprio corpo, fino al punto di sacrificare l’esistenza di esseri innocenti per “vivere meglio” o di accettare la perdita della libertà per sopravvivere.  Il rifiuto della maternità è il simbolo di un suicidio demografico, che è anche il suicidio morale di un Occidente che rifiuta la lotta e il sacrificio. L’abortismo odia la maternità perché la maternità è generatrice di vita, e il suo rifiuto conduce alla morte. Ma anche l’arrendismo, accettando la schiavitù di un popolo lo condanna a morte. E’ un’illusione immaginare che la bandiera bianca, la resa al nemico, sia portatrice di vita e di speranza. Porta la vita ciò che in sé è fecondo, e sono fecondi solo i principi vitali dell’organismo sociale. L’ideologia pacifista, come anche quella femminista e LGBT, è in sé sterile, incapace di donare la vita, capace solo di distruggerla. 

In entrambi i casi si odia l’evidenza della realtà, anche quando ci viene ricordata dal linguaggio silenzioso ma eloquente di un’opera d’arte. La realtà è che la vita è una valle di lacrime, asciugate solo dalla dottrina consolatrice e vivificante del Vangelo. Le parole del Vangelo risuonano ancora oggi di incoraggiamento per chi combatte in difesa della Civiltà cristiana. Nessuna verità e vita è possibile al di fuori di Gesù Cristo, pietra angolare della società.

Le statue di Padova e di Milano hanno una forza evocatrice che è odiata da chi vuole distruggere la società cristiana. Nella civiltà dell’immagine non sottovalutiamo la forza dei simboli che parlano in maniera silenziosa ma immediata al cuore degli uomini. L’arte deve essere al servizio della verità e nessuna verità è possibile al di fuori di Chi ha detto di sé “Io sono la Via, la Verità, la Vita”.

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