Roberto de Mattei
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La discesa di Gesù nel Limbo
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La discesa di Gesù nel Limbo

Tra la deposizione di Gesù nel sepolcro e la sua gloriosa Resurrezione, c’è un momento su cui nella giornata di sabato santo è bello meditare: la discesa al Limbo. Ed è opportuno meditarlo proprio in un momento in cui tanti teologi neo-modernisti negano l’esistenza del Limbo.


Il Limbo, come ci insegna la Chiesa, non è uno stato, una condizione delle anime, ma un luogo nella profondità della terra confinante con l’Inferno e perciò chiamato ad inferos. In questo luogo stavano prima della Resurrezione tutti i Giusti, non solo quelli appartenenti al popolo ebraico, ma anche i pagani che avevano rispettato la legge divina e naturale. Nessuno di loro poteva però entrare in Cielo fino a che il sacrificio redentore di Cristo non li avesse liberati dal peccato originale. Nel Limbo erano anche, e sono tuttora, i bambini morti senza battesimo, con il solo peccato originale. Essi non possono entrare nel cielo dei beati, ma neppure possono essere accomunati con i dannati dell’Inferno.


La discesa dell’anima di Cristo al Limbo, mentre il corpo giaceva nel sepolcro, unito con la sua Divinità, è un articolo di fede, già presente nei simboli dei primi secoli e ribadito come una verità dogmatica dal IV Concilio Lateranense.


Nel Limbo, attendevano la gloria della Resurrezione Adamo ed Eva, Noè, Abramo, Mosé, san Giovanni Battista, san Giuseppe, e tutti gli altri Giusti che morirono prima della Passione del Redentore. Essi sospiravano il momento della Resurrezione ripetendo le parole di Davide: Ostende nobis, Domine, misericordiam tuam, et salutare tuum da nobis (Sal., 84,8): “Mostrateci Signore la vostra misericordia e dateci il vostro Salvatore”.


Non era necessaria la discesa di Gesù agli Inferi per liberarli: il Signore avrebbe potuto farlo con una sola parola, come aveva fatto quando aveva tratto Lazzaro dal sepolcro (Gv, 11, 43), ma Egli volle farlo di persona, per mostrare l’immenso amore che nutriva verso quelle anime che erano morte in grazia di Dio. Entrando nel Limbo l’anima santissima di Nostro Signore illuminò le tenebre con la sua luce sfolgorante e trasformò questo luogo oscuro nel paradiso dei beati. Le anime ebbero l’immediata visione di Dio, che è la suprema beatitudine di cui adesso godono.


Il venerabile Luis de la Puente immagina che quando Gesù squarciò le porte del Limbo, gli venne incontro il coro dei patriarchi, per riconoscerlo come supremo patriarca e Padre dei secoli futuri; il coro dei profeti, per riconoscerlo come Colui che aveva adempiuto tutte le loro profezie; il coro dei sacerdoti e dei leviti, che lo adorarono come Sommo Sacerdote, ringraziandolo per il sacrificio della Croce che Egli aveva offerto per liberare l’umanità; il coro dei santi condottieri, giudici e re, che adorarono il Salvatore come Re supremo del Cielo e della Terra; il coro dei martiri che lo confessarono per loro re glorioso, ringraziandolo per il martirio che aveva sofferto sulla Croce (Meditazioni, Giacinto Marietti, Torino 1835, vol. V, p. 16).


Giunse nel Limbo l’anima del Buon Ladrone e il Redentore mantenne la promessa che gli aveva fatto sulla Croce con le parole “Oggi sarai con me in Paradiso” (Lc, 23, 43), onorandolo davanti ai Giusti e introducendolo nella vita beata. Gesù liberò inoltre dal purgatorio non tutte le anime, ma quelle che erano già purificate e mature per il Paradiso (San Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, 3, q. 52). Esse giunsero nel Limbo, unendosi alla gloria dei Beati, nelle ore, forse trentasei, in cui Gesù dimorò con loro, tra la sera del Venerdì santo e la domenica di Pasqua.


Poi Gesù, accompagnato dalla legione di anime che aveva liberato, si recò al sepolcro, per mostrare loro il suo corpo martoriato e, secondo il padre La Puente, attraverso il ministero degli angeli, raccolse tutto il sangue che aveva sparso nella Passione per riporlo nelle proprie vene; gli angeli raccolsero anche ogni brandello di carne, ogni capello strappato, per ricomporre integralmente il suo corpo in cui l’anima entrò nuovamente trasfigurandolo con la sua gloria (op. cit., pp. 23-24).


Vennero tratte dal Limbo e risuscitarono con Gesù Cristo, ricongiungendosi con i loro corpi, anche le anime di quei Giusti i cui sepolcri si erano aperti a Gerusalemme nell’ora della sua morte. Il beato Jacopo da Varagine riporta nella sua Leggenda aurea che Carino e Leonzio, figli del vecchio Simeone, che aveva tenuto tra le sue braccia Gesù bambino, risorsero con Cristo e narrarono ad Anna e Caifa, a Nicodemo, a Giuseppe e a Gamaliele, tutto quello che Cristo aveva operato agli inferi e le parole di esultanza con cui lo avevano accolto Adamo e i profeti (Leggenda aurea, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1985, p. 256). Il mistero della Croce si svelò al popolo ebraico, prima ancora che la Resurrezione fosse manifesta.


Sorge l’alba e la notte di desolazione e di pianto è finita. E’ l’ora della gloria. Mai ci fu processione più gloriosa, mai ci fu marcia più trionfale di quella dei beati che dalle profondità della terra seguirono Gesù che risorgeva, mentre dal Cielo discendevano i Cori degli angeli, facendo risuonare per la seconda volta il loro canto: Gloria in excelsis Deo et in terra pax hominibus bonae voluntatis (Lc, 2, 14): “Sia gloria a Dio nell’alto dei Cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà.


E’ lecito sperare che questo canto possa risuonare una terza volta sulla terra, nell’ora beata, in cui si celebrerà il trionfo del Cuore Immacolato di Maria che la Madonna stessa ha annunciato a Fatima. La gioia della Pasqua, il giorno che ha fatto il Signore per la nostra esultanza e per la nostra letizia (Sal., 117, 24) ci riempie il cuore nell’attesa di quel momento.

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