Roberto de Mattei
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Perché è sbagliato dar vita a un nuovo partito politico
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Perché è sbagliato dar vita a un nuovo partito politico

Una riflessione sulle elezioni del 25 settembre 2022 , ci ha portato a questa conclusione: anche se non c’è nessun partito o uomo politico che corrisponda alle nostre aspettative è lecito votare un partito il cui programma ufficiale non sia in aperto contrasto con la legge naturale e divina. Inoltre, è necessario evitare, secondo prudenza e buon senso, voti inutili che facciano il gioco dei partiti avversari. Ma all’indomani delle elezioni un secondo problema si pone. Se in Parlamento non esiste alcun partito disposto ad applicare integralmente la dottrina sociale della Chiesa, non sarebbe opportuno crearne uno nuovo o cooperare attivamente alla sua creazione?

Il problema si è posto fin dal momento in cui sono nati i partiti politici e cioè a partire dalla Rivoluzione francese. Prima del 1789 in Francia e in Europa la società era strutturata attraverso rappresentanze organiche, quali le corporazioni, i comuni e le regioni, gli ordini o stati quali il Clero, la Nobiltà e il Terzo Stato. La visione del mondo della società era ispirata alla fede cattolica, anche se la pratica si discostava spesso da essa. I partiti politici nacquero all’interno dell’Assemblea nazionale, poi Costituente, della Rivoluzione francese, quando ci si pose a destra o a sinistra dello schieramento, per esprimere la propria concezione del mondo e della società, basata, non sulla legge divina, ma sulla volontà dell’uomo, chiamata “volontà del popolo”. Nacquero così le principali ideologie dell’Ottocento e del Novecento, il liberalismo e il socialismo, di cui il sistema dei partiti fu espressione.

In Italia, il sistema dei partiti si affermò dopo la costituzione dello Stato unitario, nel 1861. Pio IX proibì ai cattolici di partecipare alla vita politica del nuovo Stato, che ebbe il suo battesimo con l’invasione di Roma del 1870. Fu il cosiddetto “non expedit” espresso dalla formula: “Né eletti, né elettori”. Leone XIII confermò questa linea politica. San Pio X, invece, con l’enciclica Il fermo proposito del 1904, pur non abolendo il non expedit, autorizzò per la prima volta i cattolici a prendere parte alle elezioni politiche, e nel 1913, con il cosiddetto “patto Gentiloni” incoraggiò un’alleanza con i partiti liberal-conservatori per sbarrare la strada ai socialisti. Nel 1919 il suo successore, Benedetto XV, abrogò ufficialmente il non expedit, permettendo la nascita del Partito Popolare italiano, fondato da don Luigi Sturzo. L’esperienza fu breve perché il fascismo nel 1922 prese il potere. Alla caduta del fascismo e della monarchia, fu ricostituita la democrazia parlamentare e nacque la Democrazia Cristiana, erede del Partito Popolare, che fu il partito egemone in Italia fino agli scandali di Tangentopoli del 1992. 

Pio XII non amò la Democrazia Cristiana, ma la tollerò come un male minore e i vescovi sotto il suo pontificato e in quelli successivi orientarono il voto dei cattolici a suo favore. L’esito però fu disastroso. Sotto il pontificato di Paolo VI, le leggi sul divorzio e sull’aborto furono approvate da Presidenti della Repubblica e Presidenti del Consiglio democristiani. La DC, rinnegando l’ideale della Regalità sociale di Cristo, fu alla testa del processo di secolarizzazione del nostro Paese.

Nel 1946 un avvocato romano, Carlo Francesco D’Agostino, presentò al Sant’Uffizio una denuncia contro gli errori dottrinali della Democrazia Cristiana. Lo stesso D’Agostino fondò un Partito in opposizione alla Democrazia Cristiana: il Centro Politico Italiano. D’Agostino era un cattolico integerrimo e fino alla sua morte, avvenuta il 7 dicembre 1999, dedicò tutte le sue energie a inseguire il miraggio di un Partito autenticamente cattolico. Partecipò, con propri simboli e candidati, alle elezioni del 2 giugno 1946 e a quelle successive, ottenendo sempre un numero insignificante di voti.  

La sua esperienza fu un clamoroso fallimento, perché lo strumento da lui scelto era del tutto inadeguato ad ottenere il grande fine che egli si proponeva: l’instaurazione di uno Stato cattolico. La politica è realismo e la realtà è che nella società contemporanea, controllata dai cosiddetti “poteri forti”, non si può partecipare alla competizione elettorale se non si ha un forte sostegno finanziario e mediatico. Nel caso di un partito cattolico, inoltre, non si può fare a meno del sostegno dei vescovi, o almeno di una parte di essi. L’avvocato D’Agostino aveva ottime ragioni per combattere la Democrazia Cristiana, ma pessime ragioni per pensare di restaurare uno Stato cattolico, agendo sul piano elettorale.  

Qualcuno potrebbe obiettare che per un cattolico è sufficiente, per agire, la forza della verità, ma è proprio qui che si pone il problema di fondo. L’apostolato della verità è molto diverso da quello del consenso. Il primo ha come scopo la conquista delle anime, il secondo la conquista della maggioranza dei voti. Sono due criteri diversi: uno qualitativo, l’altro quantitativo. La conquista di un’anima destinata alla santità può valere di fronte a Dio, più di quella di diecimila anime tiepide. Ma il sistema democratico, basato sulla volontà del numero come criterio supremo, obbliga i partiti a ridurre in misura il più ampia possibile la verità del loro programma, per estendere il loro consenso La battaglia in difesa della verità è oggi urgente e necessaria, ma non ha niente a che fare con la propaganda dei partiti.

Ciò che la Divina Provvidenza chiede ai cattolici nell’ora presente è di dedicare tutte le proprie forze non alle battaglie elettorali, ma ad un apostolato religioso e morale, per riconquistare la società e, con l’aiuto di Dio, renderla nuovamente cristiana. La politica dei partiti è un male minore che si può tollerare, deponendo il proprio voto nell’urna, ma senza illudersi che questo possa, in sé, cambiare veramente le cose. La società non è fatta da uomini che votano, ma da persone che pensano ed agiscono in coerenza con l’ordine naturale e cristiano. 

E’ evidente che bisogna rallegrarsi se nella competizione elettorale esistono candidati cattolici ed è bene appoggiarli, ma il problema che poniamo è un altro: se convenga investire tempo, denaro ed energie, per dar vita a un partito politico. E la risposta non può che essere negativa.

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