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Scegliere la vita? Uno slogan perdente
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Scegliere la vita? Uno slogan perdente

Il 22 maggio 2023 ricorrono 45 anni dall’introduzione in Italia della funestissima legge 194, che ha introdotto nella nostra legislazione l’aborto, cioè l’omicidio di Stato. Una legge, bisogna sempre ricordarlo, che passò con l’approvazione di un Presidente della Repubblica e di un Presidente del Consiglio cattolici, anzi democristiani. 

La legge abortista venne presentata come una conquista importante per le donne, essenziale per la loro autodeterminazione. Il settimanale “L’Espresso” del 14 maggio ha riproposto una sua vecchia copertina, oscena e blasfema, pubblicata il 19 gennaio 1975, in cui si vede l’immagine di una donna incinta crocifissa, perché priva della libertà di scegliere di abortire. “La legge sull’aborto, dopo 45 anni va ancora difesa” scrive “L’Espresso” perché “consente appunto questa libertà di scelta”.

Però, secondo la filosofia perenne, e anche secondo la morale cristiana, non esiste la libertà di scegliere ciò che è intrinsecamente cattivo. La libertà umana, per potersi realizzare, presuppone un oggetto definito a cui riferirsi, regole assolute da seguire. Queste regole sono iscritte nella stessa natura umana e formano la legge naturale, che è anche una legge divina, perché Dio è autore della natura umana. L’uomo, prima di essere una persona, ha una natura, su cui si fondano i propri doveri e i propri diritti, racchiusi in una legge morale oggettiva e universale. Perciò Giovanni Paolo II, nella enciclica Veritatis Splendor, afferma che solo nell’accettazione della Legge morale che Dio dà all’uomo, “la libertà trova la sua vera e piena realizzazione” (n. 35).   

La libertà non è la possibilità di scegliere tra il bene o il male, ma la capacità della volontà di tendere al bene, e in primis a Dio, sommo bene dell’uomo. Il fondamento delle scelte dell’uomo non può essere il principio di autodeterminazione, ma solo quello, ontologico, di una legge naturale oggettiva, scritta nella realtà e conforme alla ragione e al bene. La violazione di questa legge è in sé un male e l’uomo ha il dovere di scegliere il bene e non ha nessun diritto a scegliere il male.  Per questa ragione, ancora, nella enciclica Evangelium Vitae Giovanni Paolo II spiega che i cattolici devono considerare la 194 come una legge ”iniqua” priva “di validità giuridica” perché “quando una legge civile legittima l’aborto o l’eutanasia, cessa per ciò stesso, di essere una vera legge civile, moralmente obbligante” (n. 72).

Stupisce dunque che la “libertà di scelta” della donna sia lo slogan inalberato da gruppi e individui del mondo pro-life, per combattere l’aborto. Il termine “scegliere la vita” è un errore non solo lessicale, ma concettuale. La parola scelta rimanda infatti ad un atto di volontà per il quale è possibile preferire una tesi rispetto ad un’altra, come se entrambe fossero legittime, senza alcun riferimento a una legge che le trascenda. In realtà il male intrinseco dell’aborto sta proprio nella violazione della legge morale che proibisce di uccidere l’innocente e questo male non costituisce un’alternativa lecita alla scelta di lasciar vivere l’innocente.

Affermare il diritto di scegliere la vita significa, implicitamente, ammettere che esiste il diritto a rinunciare alla vita. Ma il diritto alla morte non esiste e il diritto alla vita non è una scelta, ma un obbligo morale. La vita, infatti, non si sceglie, ma si riceve: non è una scelta, ma un dono. La vita è un dono al di là della nostra volontà di viverla o di rinunciarvi, un dono gratuito di Dio, che non ci appartiene e che raggiungerà il suo pieno compimento nell’eternità, come afferma Giovanni Paolo II nella Evangelium Vitae, ricordando le parole del Vangelo (cf. 1 Gv 3, 1-2) e quelle della Sacra Scrittura: “Dono del Signore sono i figli, è sua grazia il frutto del grembo” (Sal 127/126, 3; cf. Sal 128/127, 3-4). 

La parola scelta rimanda all’autodeterminazione dell’uomo, escludendo o ignorando l’esistenza di una legge morale che obbliga l’uomo. Ma questa legge morale rappresenta l’unica barriera invalicabile che possiamo opporre alle forze rivoluzionarie che oggi aggrediscono la nostra civiltà. La battaglia, altrimenti, si sposta sul piano dei diritti soggettivi e, di conseguenza sul piano dei rapporti di forza politici, e conduce inevitabilmente alla sconfitta, perché solo la Verità e il Bene, nella loro purezza e integralità, sono destinati a vincere, nel tempo e nell’eternità.

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