Roberto de Mattei
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La morte, ma non l’inferno
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La morte, ma non l’inferno

La morte ma non i peccati” Questa iscrizione è stata apposta sulla tomba della beata Anka Kolesárová, una giovane laica slovacca uccisa nel 1944 da un militare sovietico durante l’occupazione dell’Armata Rossa, “hostiae sanctae castitatis – vittima della castità”.    

Anka era nata il 14 luglio 1928 in un villaggio della Slovacchia dell’Est, non lontano dal confine con l’Ucraina, in una famiglia profondamente religiosa. Aveva sedici anni quando, nel corso della seconda guerra mondiale, l’occupazione russa si sostituì a quella tedesca. Il 22 novembre 1944 Anka e i suoi familiari si nascosero in cantina, ma un soldato dell’Armata rossa li scoprì. Il padre mandò la giovane a cucinare qualcosa per quel soldato, in modo da rabbonirlo, ma lui attentò alla sua purezza, nonostante lei fosse sobriamente vestita di nero, come avevano concordato tutte le donne del villaggio proprio per non destare le attenzioni sconvenienti dei militari. La reazione del soldato alle sue resistenze fu terribile: la uccise a colpi di pistola davanti agli occhi attoniti dei suoi familiari. “Gesù, Maria, Giuseppe, vi consegno la mia anima” mormorò prima di morire. Dopo la caduta del regime comunista, la gente riprese a parlare di Anka e della sua eroica morte. Fu aperto un processo diocesano e Anka Kolesárová venne beatificata il 1 settembre 2018. Oggi è venerata come vergine e martire. È la prima beata laica del suo paese ed è stata definita la Maria Goretti della Slovacchia. Il suo nome si aggiunge a quella di una legione di martiri della purezza elevate alla gloria degli altari nel ventesimo secolo, come la beata Carolina Kozka (1898-1914), la beata Antonia Mesina (1919-1935), la beata Albertina Berkenbrock (1919-1931) la beata Teresa Bracco (1924-1934), la beata Pierina Morosini (1931-1957) la beata Alfonsina Anaurite Nengapeta (1941-1964).

Tutte queste anime elette hanno fatta propria la frase di san Domenico Savio (1842-1857) “Meglio la morte del peccato”, che già, molti secoli prima, santa Bianca di Castiglia (1188-1252) ripeteva a suo figlio, il futuro Re di Francia san Luigi IX (1214-1270): “Vorrei piuttosto vederti morto, anziché macchiato di un sol peccato mortale”.

Questa frase esprime una concezione di vita diametralmente opposta a quella contemporanea, per la quale il peccato non esiste e il piacere viene idolatrato ed elevato a norma di vita. Eppure tutti muoiono, e il giudizio divino attende ogni uomo, chiamato in ogni momento della sua vita al bivio tra il paradiso e l’inferno: l’ingresso nella gloria per l’eternità o la separazione eterna da Dio.

 Oggi evocare il nome dell’inferno provoca disagio, imbarazzo, repulsione. Gli stessi sacerdoti preferiscono parlare dell’amore e della infinita misericordia del Signore, ma non della sua suprema giustizia. Alcuni, non potendo negare l’esistenza dell’inferno, affermano che è esso vuoto e che pene come quella del fuoco sono pene simboliche, figurate. L’idea di inferno è rimossa, sradicata dalla nostra cultura. Il risultato è che l’inferno, rimosso dai nostri pensieri entra di prepotenza ogni giorno nella nostra vita e la rende spesso un tormento.

Eppure l’inferno esiste e la Madonna a Fatima, nel 1917, l’ha ricordato, mostrando ai tre pastorelli l’oceano di fuoco in cui erano immerse le anime dei demoni e dei dannati, in mezzo a grida e gemiti di dolore e di disperazione che facevano orrore e tremare di paura.

La visione dell’inferno terrorizzò santa Giacinta di Fatima, a tal punto che la piccola non riusciva a pensare ad altro, chiedendosi come fosse possibile vivere come se niente fosse. La Madonna comunicò a Giacinta che il peccato che trascina più anime all’Inferno é il peccato di impurità, che oggi purtroppo è il più diffuso, favorito dalla pubblicità, dai mass-media e dalle mode indecenti. L’impurità è una trasgressione della legge naturale impressa nel cuore di ogni uomo. Due comandamenti di Dio la riguardano: il sesto e il nono, mentre nel Vangelo Gesù dice: “Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio” (Mt 5,8) .

L’impurità porta all’inferno e per evitare questa tragica conclusione della nostra vita, se non si ha il coraggio di ripetere le parole della beata Anka Kolesárová, “La morte, ma non i peccati”, si dica almeno, rivolgendosi a Dio, “La morte, ma non l’inferno”, perché la morte, che è entrata nel mondo con il peccato originale, è una pena terrena, mentre l’inferno, è una sofferenza eterna, che ogni uomo, con l’aiuto di Dio e  la sua buona volontà, può evitare, rinunziando al peccato. L’Inferno è un luogo di tormenti dal quale una volta entrati non si esce più. E la Madonna, mostrando l’inferno ai tre pastorelli, insegnò loro a ripetere questa giaculatoria, con cui intervallare le poste del rosario: “Gesù mio, perdonateci le nostre colpe, preservateci dal fuoco dell’Inferno e portate in Cielo tutte le anime, specialmente le più bisognose della vostra misericordia”.

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