Roberto de Mattei
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San Pio da Pietrelcina: un grande perseguitato del XX secolo
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San Pio da Pietrelcina: un grande perseguitato del XX secolo

Nel 1979 conobbi la dottoressa Wanda Poltawska, una esponente di primo piano del mondo pro-life europeo, molto legata a Giovanni Paolo II. La dottoressa mi raccontò di essere stata miracolosamente guarita da un cancro all’intestino grazie a padre Pio, al quale mons. Karol Wojytila, vescovo ausiliare di Cracovia, sapendo che la sua amica stava in condizioni disperate, aveva scritto  nel 1962 affinché “Dio per intercessione della Beatissima Vergine mostrasse la sua misericordia a lei e alla sua famiglia”. Wanda Poltawska, già sopravvissuta al terribile campo di concentramento di Ravensbruck, venne guarita da padre Pio e oggi ha felicemente raggiunto il traguardo dei cento anni,   

Fu lo stesso Giovanni Paolo II, a beatificare padre Pio nel 1999 e a proclamarlo santo nel 2002.  E dire che nel 1961, un anno prima della lettera di mons.  Wojtila, il domenicano Paul Philippe, consultore del Sant’Uffizio, dopo avere interrogato padre Pio, lo definiva “un disgraziato sacerdote, che approfitta della sua reputazione di santo per ingannare le sue vittime”. Fino alla sua morte, avvenuta il 23 settembre 1968 padre Pio, all’interno della Chiesa fu considerato da molti un visionario o, peggio ancora un imbroglione  

Francesco Forgione nacque il 25 maggio del 1887 a Pietrelcina ed entrò giovanissimo nell’ordine dei Frati Minori Cappuccini, prendendo il nome di Fra Pio da Pietrelcina. Fu ordinato sacerdote a 23 anni e destinato al convento di San Giovanni Rotondo, nella diocesi di Manfredonia, dove il 20 settembre 1918 ricevette le stimmate permanenti durante una visione di Gesù Crocifisso che gli disse: “Ti associo alla mia Passione”. Questo fenomeno e la fama di santità del religioso crearono un movimento di devozione in tutta Italia con un crescente afflusso di persone a San Giovanni Rotondo. 

La presenza di padre Pio disturbava la situazione di rilassatezza morale in cui era immersa la diocesi, a causa della condotta immorale dell’arcivescovo Pasquale Gagliardi, e di alcuni suoi collaboratori. L’arcivescovo e questi sacerdoti, per sbarazzarsi dello scomodo cappuccino, lo accusarono di essere un corruttore di donne e di essersi “inventato” le manifestazioni soprannaturali. L’arcivescovo, nella sua campagna contro padre Pio ebbe tra suoi sostenitori il padre Agostino Gemelli, medico psichiatra, fattosi francescano, fondatore e rettore dell’Università Cattolica di Milano. L’approccio ai fenomeni mistici di padre Gemelli era positivista e scientista.  Nel 1919, egli si recò in incognito a San Giovanni Rotondo, facendo, come scrive lui stesso. “la commedia del medico convinto e convertito per avere agio di osservare, vedere, constatare”: poi vi tornò, col proprio nome, il 19 aprile 1920, con l’intenzione di esaminarne le stigmate. Con padre Pio s’incontrò pochi istanti. Era privo della necessaria autorizzazione ecclesiastica e padre Pio rifiutò di mostrargli i segni della Passione. Pur senza aver visitato il cappuccino, padre Gemelli inviò al Sant’Uffizio una Informazione nella quale affermò di ritenere le stigmate manifestazioni somatiche di natura isterica.  

Il 31 maggio 1923 la Suprema Congregazione del Sant’Uffizio emanò una declaratio, secondo cui, alla luce di un’inchiesta svolta, non constava la soprannaturalità dei fatti riguardanti padre Pio “(non constare de eorundem factorum superanuralitate”). A padre Pio fu proibito di celebrare in pubblico e di svolgere ogni attività scritta di direzione spirituale. Purtroppo l’’expertise di padre Gemelli aveva avuto un peso rilevante. 

Entrò in scena a questo punto un singolare personaggio, Emanuele Brunatto, convertito da padre Pio nel 1922 dopo una vita disordinata.  Ne divenne discepolo devoto e si propose di provare l’innocenza di padre Pio e la corruzione di quelli che lo denigravano. Brunatto, che padre Pio chiamava “u poliziottu”, per le sue doti investigative, organizzò una vera e propria opera di “contro-spionaggio”, fatta di appostamenti, pedinamenti, fotografie di documenti pagate anche a caro prezzo e persino incursioni in abitazioni private. Nel giugno 1925 Brunatto giunse a Roma, portando con sé due “voluminosi incartamenti” e incontrò don Luigi Orione che lo incoraggiò a sottoporre i documenti all’attenzione del cardinale Merry del Val, segretario del Sant’Uffiizio. Merry del Val spiegò a Brunatto che la formula “non constat de supernaturalitate” era dubitativa nel senso che non confermava né l’origine soprannaturale, né quella non soprannaturale del fenomeno, ma era diversa da quella invece chiaramente negativa: “constat de non supernaturalitate”. La congregazione del Sant’Uffizio si comportava dunque in maniera prudente, tenendo in considerazione anche le possibili ricadute del fenomeno sull’ambiente religioso e civile. I tempi del Sant’Uffizio non erano però quelli di Brunatto e l’intraprendente giovane, per smuovere la situazione, decise di dare alla stampa il materiale scandalistico da lui raccolto, costringendo il Vaticano ad aprire un’inchiesta sulla diocesi di Manfredonia. Dopo una Visita apostolica, mons. Gagliardi fu costretto alle dimissioni e i suoi collaboratori subirono gravi censure canoniche.   

Il 14 luglio 1933 si concluse la segregazione di padre Pio, che però non venne mai riabilitato e subì molte altre persecuzioni, una che dal 1934 al 1947 circa, quando alcune donne gelose e invidiose, convinte che egli accordasse ad altre una maggiore predilezione, cominciarono, per vendetta, ad inviare ai Superiori del Convento lettere anonime contro di lui. L’altra persecuzione, più grave, avvenne nel 1960, a causa dello scandalo finanziario Giuffré. L’ordine dei Cappuccini di Padova aveva consegnato ingenti somme di denaro al banchiere Giovanni Battista Giuffrè, il quale venne dichiarato fallito, con debiti di svariati miliardi. Il Vaticano impose all’Ordine dei Cappuccini la restituzione del denaro e i Cappuccini di Padova, chiesero a padre Pio di mettere a loro disposizione le offerte che riceveva dai fedeli per la costruzione del grande ospedale Casa sollievo per la sofferenza. Padre Pio rispose che non poteva disporre a suo piacimento del denaro dei fedeli, perché non era suo, ma dei benefattori, i quali lo avevano versato per scopi ben precisi.
Venne allora accusato, per vendetta, di affarismo e di immoralità, e moralmente isolato all’interno del suo ordine.

Anche dopo la sua morte gli oltraggi a padre Pio continuarono: tale fu la richiesta del Vaticano, fortunatamente andata a vuoto, di eseguire l’autopsia sul suo corpo, e tale fu, a mio parere, la costruzione dell’orrifico santuario di San Giovanni Rotondo, progettato da Renzo Piano, dove nel 2008 è stato trasferito ed è venerato il corpo di san Pio da Petrelcina, trovato intatto quarant’anni dopo la morte.

Il quadro è maleodorante, ma Gesù Cristo ha chiamato la Chiesa un campo nel quale insieme al buon grano cresce anche la zizzania. La prova che la Chiesa era una istituzione divina – disse don Orione ai difensori di padre Pio – era proprio quella: continuava a trionfare, ad onta che molti di coloro che dovevano sorreggerla e servirla, facevano di tutto per minarne le fondamenta.

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