Roberto de Mattei
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Vogliono togliere le Croci dalle cime delle montagne…
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Vogliono togliere le Croci dalle cime delle montagne…

La notizia è veramente grave e non può essere ignorata. Secondo “Il Giornale” del 23 giugno 2023, il Club Alpino Italiano (C.A.I.), la più importante organizzazione alpinistica, si sarebbe espresso contro l’installazione di Croci sulle cime delle montagne. La ragione è che la Croce non esprimerebbe più i sentimenti degli italiani, e sarebbe dunque divisiva. Le montagne, si dice, appartengono a tutti e il Crocifisso è ammesso negli spazi privati, ma va tolto da quelli pubblici, che siano una scuola o una montagna.

Va ricordato innanzitutto che le montagne italiane, dalle Alpi ai monti delle Madonie siciliane, sono costellate di una quantità innumerevoli di Croci. Molti credono che l’usanza risalga a Papa Leone XIII, che, agli albori del secolo scorso, volle far erigere su diciannove montagne italiane, quanti sono i secoli della Redenzione – diciannove grandi Croci o monumenti devozionali per rendere un grandioso omaggio a Dio re dell’universo. 

In realtà l’usanza di piantare Croci sulle cime delle montagne è più che millenaria. Secondo lo storico Peter Danner, la prima croce elevata su una montagna sorgeva sul Monte Olimpo a Cipro. Si voleva che fosse la Croce del buon ladrone che fu crocifisso assieme al Cristo. Elena, madre di Costantino, l’avrebbe trovata nell’anno 327 a Gerusalemme e portata a Cipro, dove sarebbe stata poi conservata nel Monastero di Stavrovouni.  

   La Croce eretta sulle cime dei monti vuole esprimere innanzitutto la signoria di Dio sul creato,  ma è anche il simbolico traguardo di chi ascende faticosamente le montagne, che sono la metafora della nostra vita e, raggiunta la vetta, trova nella Croce il suo conforto e la sua speranza.

L’idea della cancellazione delle Croci è un’idiozia che oggi fa parte della cosiddetta Cancel Culture, ma che risale a un dibattito che si accese venti anni fa, quando si parlò della possibilità di inserire il riferimento alle radici cristiane nel Trattato costituzionale europeo.

Ricordo che allora Josef Weiler, un professore alla New York University, di religione ebraica, e di idee progressiste. considerato uno dei massimi studiosi dell’integrazione europea,  ricordando la storia biblica degli uomini che furono mandati ad esplorare la Terra Promessa, immaginava alcuni turisti di oggi “inviati a esplorare la Terra Promessa d’Europa”. Che cosa riferirebbero? Ascoltiamo le sue parole. “Essi, andando in cerca dell’ “Europa” racconterebbero anche questo. Che in ogni centro abitato, anche nel più piccolo, le tombe nei cimiteri recano iscrizioni diverse nelle lingue europee, ma hanno quasi tutte la stessa identica croce cristiana; a chi visiti un cimitero quella croce si ripresenta sempre uguale, immutabile anche nel tempo: è la stessa croce su una tomba del 1003, come su una del 1503, come su una del 2003. Racconterebbero poi che non esiste città o paese di una certa grandezza che non abbia almeno una chiesa cristiana, e a volte anche più d’una; se non altro nell’Europa occidentale, dove la libertà di religione non è una conquista recente, e ha permesso alla Cristianità di esprimersi nei secoli, anche attraverso la costruzione di chiese. In certi luoghi queste chiese possono anche rimanere vuote per la maggior parte dell’anno; ma sono là, spesso di una bellezza maestosa, spesso in posizione dominante nel cuore dello spazio pubblico.”  (Josef H.H.Weiler, Un’Europa cristiana. Un saggio esplorativo, Rizzoli, Milano 2003, pagg. 41-44, 93-94). 

Ciò che Weiler scrive delle Croci nei cimiteri potrebbe essere detto delle Croci sulle montagne. Nella Croce tutti si identificano, anche chi cattolico non è. La Croce è la memoria di un passato comune, che non possiamo cancellare, perché cancelleremmo noi stessi, la nostra storia, la nostra identità. 

Nelle epoche cristiane che ci hanno preceduto non vi era atto o cerimonia solenne che non si aprisse col segno della Croce e in nome della Santissima Trinità. Il segno della Croce veniva tracciato sulle porte della città, sugli oggetti domestici, sulle bandiere delle nazioni e sulle corone dei re, negli ospedali, nelle scuole, nei tribunali, sulle tombe dei cimiteri, nei campi e nei crocicchi delle strade, in vetta alle montagne. Nella Croce il mondo vedeva un segno di salvezza, di benedizione, di perdono, di speranza, di lotta, di vittoria.

Oggi in Europa è in corso una guerra contro il Crocifisso, che non è solo simbolica. E la battaglia in difesa del Crocifisso negli spazi pubblici è certamente una battaglia in difesa delle nostre radici cristiane. Ma le radici cristiane non appartengono solo alla memoria o alla storia: esse sono viventi perché il Crocifisso, che le riassume, non è solo un simbolo storico e culturale, è una fonte attuale e perenne di verità e di vita rinnovata ogni giorno nel Santo Sacrificio della Messa.

La Croce sulle vette non è solo il simbolico punto di arrivo di chi volta le spalle alla terra, per contemplare il Cielo. Tutti gli uomini sono chiamati ad essere felici partecipando eternamente alla gloria di Dio. Questa gloria eterna ha le sue radici nella grazia, la grazia ha la sua fonte nel Crocifisso: il Crocifisso è fonte di felicità temporale ed eterna, per gli uomini, le famiglie e i popoli che ne fanno la propria insegna. L’Italia, l’Europa, l’Occidente, non hanno futuro al di fuori dell’Uomo-Dio che sulla Croce ci ha redento. 

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